27/04/19

Sulla misericordia degli eruditi (appunti per niente 7)



Leggendo certi libri di memorie, diari o epistolari, si è travolti dall'infinito numero degli artisti dimenticati persino nel nome. E allora vien da pensare che per fortuna esistono gli specialisti, gli eruditi, tra i pochi uomini luminosi ancora provvisti di misericordia.
Per questo leggo con rispetto quasi religioso ogni nota che appongono ai testi da loro curati, e ad ogni biografia per quando scarna, a ogni data, a ogni notizia la mia gratitudine aumenta e mi sembra che al mondo sia restituito un po' di senso.

Rembrabdt, Un erudito nel suo studio (Faust), Acquaforte, puntasecca e bulino, Uffizi

24/04/19

Autoritratto in uno specchio concavo (una vecchia filastrocca)



Che lo specchio sia concavo o convesso,
a un vampiro cosa importa? È lo stesso
vuoto che il suo sguardo ritrova; manca
spazio per lui nello spazio riflesso.
Ma nel secondo tutto si spalanca,
avanza osceno e deforme, ti fissa
altezzoso credendosi sincero,
e intanto sembra cercare la rissa.
Allora preferisco il punto nero
che nel fondo del concavo si glissa,
un’ombra che recede all’infinito
e ti accoglie lasciandoti allibito;
o la lieve e confusa sfumatura
che si insinua fin sotto la cornice
ordinando la stanza o la natura
disposta in una calma protettrice,
spazio chiuso che non fa più paura.
Nello specchio convesso tu sei il centro,
sul davanti la tua faccia mostruosa
si sporge cancellando ogni altra cosa,
e invece di ospitarla mite dentro
la costringe a comprimersi lontano.
La vita del vampiro è dubitosa,
anche la morte gli sfugge di mano,
perché solo chi vive si riposa:
propriamente un vampiro non esiste,
e se talvolta un ego si dipinge
è soltanto perché si sente triste,
per la strana nostalgia che lo spinge
verso un mondo che a sua volta si stinge.
Esistere è un’eterna dipendenza
da chi porge col sangue un’apparenza,
mutando il possedente in posseduto,
a chi starebbe volentieri senza.
Bevuta la mia droga resto muto,
per niente soddisfatto dell’impresa,
e guardo i fori sulla pelle tesa
come due specchi concavi e discordi:
il primo mi risucchia nel suo imbuto,
dell’altro mi distendo lungo i bordi
e il mondo mi diventa il contenuto.

22/04/19

Il giorno dell'Angelo




Stiamo andando a trovare i miei genitori, che hanno trascorso le vacanze pasquali nella loro casa sul lago, per festeggiare assieme, come ogni anno, l’onomastico di mia moglie e di mio padre. Il traffico è scorrevole: Angela guida tranquilla con un orecchio alla radio, io leggo il giornale di ieri cercando di non sentirla, la radio. Ogni tanto scambiamo qualche battuta. Nei momenti di pausa, tra un titolo e l’altro, getto occhiate svagate attorno, alle colline che si avvicinano, alle loro viscere, bianche e gialle, messe a nudo dalle cave e brillanti nell’aria lucida del mattino, alle macchie di neve sulle montagne più in fondo. Una pagina dopo costeggiamo un cimitero, alcune villette di muratori ed ex emigranti sfiorate da un modesto delirio che le trattiene al di qua dell’orrore, il piazzale delle terme, piccole vigne famigliari ancora spoglie. Un’altra pagina, niente di interessante.  Fuori del finestrino c’è un prato pieno di bocche di leone tra l’erba folta, alta e scura dopo giorni di pioggia. Mentre lo guardo, attratto dal colore dell’erba, all’improvviso sento gli steli crescere, uno per uno e tutti assieme, attraverso la terra e immediatamente, nemmeno una frazione di secondo, dentro di me.
Ho sentito l’erba farsi strada dentro i pori della mia pelle che le si aprivano incontro; ho sentito il loro dischiudersi che si propagava come una folata che a raggiera, partendo dal braccio destro, quello con cui sto ora scrivendo mentre ancora non si sono richiusi, si diffondeva in tutto il torso, sulle spalle e sui pettorali soprattutto, percorsi da un brivido dell’epidermide, ma più ancora da un movimento sottocutaneo, ondulatorio, come se ogni fibra, invece di semplicemente stare accanto alle vicine, le invadesse e si accoppiasse con loro, mentre gli occhi  lentamente si inumidivano. E’ durato due minuti, non di più e non di meno. A riportarmi in me è stata non la lucidità ma la meraviglia, la stessa che mi ha subito condotto la mano alla biro e che la guida mentre ora sto scrivendo. La stessa che non accenna a svanire ora che ho scritto.


19/04/19

Sulla sanità mentali di certi popoli (appunti per niente 6)



Leggendo Ivy Compton-Burnett non c’è da meravigliarsi che l’antipsichiatria, soprattutto quella che si è dedicata alla famiglia come matrice patogena, abbia avuto tra i suoi più grandi rappresentanti proprio degli inglesi, come Ronald D. Laing e A. Esterson, autori del classico "Normalità e follia nella famiglia" (Einaudi, 1970) con l’accento che mette sull’istituzione famigliare come incubatrice e principale vettore di propagazione di gran parte delle psicopatologie, specie di quelle che restano confinate, tramandandosi identiche per generazioni, al suo interno. Le diverse eppur simili dinamiche descritte dalla scrittrice sono così rappresentative della società inglese che c’è da stupirsi che ci sia qualcuno di sano in giro per l’isola. A meno che quel tipo di follia non sia la forma nazionale inglese della sanità mentale, che sorregge la convinzione dei britannici di essere superiori a tutti gli altri popoli, affetti da demenze più banali.

05/04/19

Un utile esercizio (appunti per niente 5)


 
Quando non si ha niente in mente, né niente da dire o da fare e tuttavia si sente la mano formicolare e uno spazio libero ammiccare maliziosamente invitando a qualcosa che non si sa, o solo per allontanare un’ansia ancora leggera che da lontano comincia a farsi avvertire, un buon esercizio è prendere un quadro o un’immagine, qualcosa di già pronto, pensato e fatto da un altro con una qualche intenzione che però non interessa ora, un’opera a caso, pur sapendo che niente è davvero a caso e già aver preso questo o essersi soffermati su quello tra i pochi o i tanti che sono a disposizione, sotto tiro al momento, o che sono stati predisposti, o messi da parte nei periodi in cui si pensa al non si sa mai, o si immagazzinano per qualsiasi motivo che quasi subito viene dimenticato… è buon esercizio, dicevo, cominciare a descriverlo, tutto o in qualche dettaglio, e soffermarsi fino a imbastire un insieme coerente, o anche solo soffermarsi più qua che là, senza pensarci troppo, e andare avanti, variando tempi e attenzione come viene viene, e si vedrà che quello che non si sapeva di sapere ora lo si sa, quello che non si sapeva di cercare ora lo si trova, fosse pure la prova del proprio totale smarrimento, la verifica (non si dice l’accettazione: magari anche quella, chi lo sa?) della sospensione da cui ci si era mossi, e infine, dopo tanto percorso in cui l’abbandono, la dedizione, aveva sempre più quietamente e fors’anche gradevolmente trascinato gli occhi, la mano e magari anche (addirittura!) l’anima, trovarsi nella posizione, contento di aver comunque realizzato qualcosa che poi malaccio non può essere avendolo scritto noi, di potersi fermare a guardare il tutto da fuori come in qualche modo compiuto, e mettere un punto, come faccio qui ora, prima di passare ad altro.


03/04/19

Queste donne oltremodo rette (appunti per niente 4)


Queste donne oltremodo rette, rigide e sorvegliate quanto passionali nel fondo accuratamente celato, formalmente impeccabili sia nel comportamento che nelle parole anche quando dicono verità sgradevolissime, laceranti, crudeli persino, e che proprio per questo possono esercitare il più inflessibile dominio e il ricatto più vessatorio ammantato da interesse per l’altro, da grande generosità verso il destinatario, cioè la vittima e debitore, in genere uno stretto famigliare, e che cadono in piedi anche quando si direbbe cha abbiano le ginocchia spezzate, la messinpiega in ordine nonostante le più profonde batoste… come sono affascinanti pur nella loro sgradevolezza! Che carattere manifestano anche nel più crudele dolore!, senza cedere alla disperazione, almeno in pubblico, o nominandola nello stesso momento in cui si mostrano tetragone, e rifiutando la compassione mentre sembrano esigerla, quantomeno come atto dovuto, esso pure formale e ciononostante sentito, o così significato con i segni sociali di prammatica. Terribili!, macchine da guerra e sensi di colpa, non fossero i loro interlocutori protetti dalla stessa corazza formale, gelide e raggelanti… che vien però da rimpiangere nella nostra deriva di strazi esibiti, e tanto meno sentiti. Da ammirare, anzi.