24/04/19

Autoritratto in uno specchio concavo (una vecchia filastrocca)



Che lo specchio sia concavo o convesso,
a un vampiro cosa importa? È lo stesso
vuoto che il suo sguardo ritrova; manca
spazio per lui nello spazio riflesso.
Ma nel secondo tutto si spalanca,
avanza osceno e deforme, ti fissa
altezzoso credendosi sincero,
e intanto sembra cercare la rissa.
Allora preferisco il punto nero
che nel fondo del concavo si glissa,
un’ombra che recede all’infinito
e ti accoglie lasciandoti allibito;
o la lieve e confusa sfumatura
che si insinua fin sotto la cornice
ordinando la stanza o la natura
disposta in una calma protettrice,
spazio chiuso che non fa più paura.
Nello specchio convesso tu sei il centro,
sul davanti la tua faccia mostruosa
si sporge cancellando ogni altra cosa,
e invece di ospitarla mite dentro
la costringe a comprimersi lontano.
La vita del vampiro è dubitosa,
anche la morte gli sfugge di mano,
perché solo chi vive si riposa:
propriamente un vampiro non esiste,
e se talvolta un ego si dipinge
è soltanto perché si sente triste,
per la strana nostalgia che lo spinge
verso un mondo che a sua volta si stinge.
Esistere è un’eterna dipendenza
da chi porge col sangue un’apparenza,
mutando il possedente in posseduto,
a chi starebbe volentieri senza.
Bevuta la mia droga resto muto,
per niente soddisfatto dell’impresa,
e guardo i fori sulla pelle tesa
come due specchi concavi e discordi:
il primo mi risucchia nel suo imbuto,
dell’altro mi distendo lungo i bordi
e il mondo mi diventa il contenuto.

Nessun commento:

Posta un commento