26/05/20

C'è speranza



Facciamo un paio di conti. Ancora (vedi i post del 21 aprile e dell’8 maggio). E’ un periodo che uno i conti se li fa. Anche se non tornano. Alta matematica. Mica tutti hanno studiato.
Cominciamo con il risparmio sulle pensioni. Atteniamoci a cifre ragionevoli. 40.000 anziani morti più del solito in tre mesi, facendo una media abbondante che tenga conto di tutte le spese, anche quelle burocratiche, ma tralasciando quelle, ingentissime, sanitarie e assistenziali, diciamo sui 2.000 euro mensili, per facilitare i calcoli, fanno un risparmio per l’INPS, tenendo conto anche di una tredicesima di 1.000 euro, di 25.000 euro per deceduto in eccesso (in abbondanza). Moltiplicato per il numero di trapassati, fanno 1.000.000. 000 di risparmio in tre mesi. Moltiplicato per quattro, fanno 4 miliardi di risparmio annuo. Una fettina di manovra economica. Non tantissimo, ma nemmeno poco.
Questo mi ha fatto venire in mente una proposta ragionevole. Smettiamola con queste odiose restrizioni, che fanno temere a filosofi e politologi l’avvento di una condizione di controllo totale, come se già non ci fosse, e lasciamo che la pandemia faccia il suo corso. (Mi limito all’Italia ma tutti possono estendere facilmente il ragionamento al mondo intero. Come si può notare la mia idea richiama la proposta di Swift che più modestamente si limitava all’Irlanda.) Lasciando tutti liberi si arriverebbe alla tanto bistrattata immunità di gregge. Questa comporta il contagio (faccio cifra tonda per semplificare) del 60% della popolazione: quindi per l’Italia 36.000.000 (trentaseimilioni) di persone, che potrebbero morire sembra nella percentuale dell’uno per cento, sempre per semplificare. Quindi 360.000 morti. Che però non sarebbero distribuiti in tutta la popolazione, ma in gran parte tra gli anziani. Se calcoliamo un ottimista 90%, siamo a 324.000 kaputt. Tra i papabili, data l’età, ci sono anch’io. Lo segnalo perché non si dica che faccio calcoli interessati. Lo so che in Italia è così: ogni ragionamento oggettivo nasconde uno squallido interesse. Ma io faccio eccezione. Sono sempre stato un’anima bella. E me ne vanto.
Se aggiorniamo le cifre tenendo conto di questa proposta, che al momento lascio così, allo stato grezzo, la cifra risparmiata, litandosi all’INPS, sarebbe di circa 8 miliardi (per l’esattezza 8.100.000.000). Quindi ci guadagnerebbe moltissimo. Inoltre la gente, in particolare i giovani che scoppiano di energia e voglia di vivere, continuerebbe a produrre e a consumare di più che restando chiusi in casa, e quindi il beneficio per l’economia del paese sarebbe ancora più ingente. E poi c’è da tener conto del fatto che non è detto che una volta superato il primo contagio, perché questo Covid-19 è molto infido, non si ripresenti, quindi i contagiati potrebbe essere molti di più. Teoricamente più della popolazione stessa, perché se si ripresentasse anche solo un’altra volta, la percentuale sarebbe del 120%: un taglio alle spese estremamente significativo quindi, anche senza entrare negli spiccioli del dettaglio. Certo ci sarebbero delle controindicazioni, come il tanto conclamato, ma di fatto risibile, contributo degli anziani al fantasma del welfare (volontariato, surrogato delle insufficienti scuole per l’infanzia, custodia bambini in età prepuberale ecc.) o il mantenimento di figli e nipoti con i loro risparmi, ma questi comunque passerebbero a loro e entrerebbero più direttamente e con maggiori volumi nella circolazione dei beni, perché è ovvio che risparmiare è solo il retaggio di una cultura contadina e della povertà che scomparirebbe con gli anziani.
Solo benefici insomma. Anche tralasciando il computo meschino dei posti lavoro liberati (quelli regolari e quelli in nero, che come noto sono feudo di molti pensionati), dal punto di vista morale e sociale ci sarebbero solo vantaggi. Lasciando fare alla natura matrigna non ci sarebbe il senso di colpa di aver contribuito direttamente a scremare la suddetta categoria (mica morirebbero tutti, dai!) e in più ci sarebbe una maggiore coesione sociale, che come è noto aumenta avendo un comune nemico, come del resto aveva già detto chiaramene anche Leopardi, che non ha solo scritto quelle cose pallose e lagnose che in passato si studiavano a scuola (a volte dovendo pure impararle a memoria!).
Se la vicenda dovesse ragionevolmente protrarsi negli anni, i benefici sarebbero enormi. Senza calcolare che, come prevedono gli esperti, il futuro ci riserva delle belle sorprese con nuovi virus che l’indefessa matrice naturale è sempre pronta a sfornare. Vita crea vita, in festa infinita. Questo per dire che i pessimisti di professione dovrebbero smettere di lagnarsi a destra e a manca, specie quelli che fanno i pavoni in tv, e di deprimere la popolazione che ne ha già di suo. C’è speranza.

11/05/20

Orologi buontemponi



25 marzo 2020
L'orologio a muro della mia cucina fa il simpaticone. Ogni tanto, pensando che nessuno lo noti, fa scattare la lancetta dei secondi all'indietro. Non più di uno alla volta, ma lo fa. Non è la prima volta che lo prendo in castagna. Allora lo sto a fissare, e lui continua regolarmente come se niente fosse, con quella sua faccia da sberle che mi sembra persino di sentir fischiettare.
La cosa interessante è che poi è sempre in perfetto orario. Il che significa che periodicamente recupera con qualche scatto doppio in avanti. Facile che agisca di notte, favorito dalle tenebre, come i delinquenti e, una volta, gli amanti (ora fanno tutto alla luce del sole e poi se ne vantano sui social), sapendo che ho il sonno continuo e pesante. Ma una di queste notti, che sono un po' inquieto, pian piano raggiungo la porta della cucina, sporgendo solo la testa senza far rumore, e vedremo chi è il più furbo.

Il giorno dopo
Mi è venuto un dubbio: mettiamo che a fare il frescone non sia solo il mio orologio, e che come lui ce ne siano a migliaia in tutto il mondo, a milioni, che si sono accordati tra di loro. Non sto parlando di una congiura: un semplice accordo, magari partito come uno scherzo tra pochi amici e che poi si è esteso via via. Dove vanno tutti i secondi mancanti? Tornare indietro di uno e poi, più tardi, di notte, fare un salto avanti di due, secondo me non dà una somma zero. Nell'intervallo c'è stato un secondo mancante, milioni di secondi mancanti disseminati per tutto il pianeta. Una cosa enorme! Chiedetelo agli operatori finanziari che lavorano 24 ore su 24 sui mercati online che differenza ci può essere in frazioni infinitesime di secondo. Cosa ne è di tutto quell'enorme serbatoio di tempo, e della somma di tutti i serbatoi che ogni giorno si accumulano? Restano da qualche parte nel nostro mondo o pian piano ne stanno costruendo, o alimentando, un altro simile, parallelo, dove magari giacciono immobili, sereni, e convivono senza passare, intenti a costruire un'eternità vuota di vita, o in attesa che qualcuna venga ad abitarla? Quale vita? Non so. Ci devo pensare.

08/05/20

Una divagazione su alcune figurine di Van Eyck e van der Weyden



La figurina di profilo della “Madonna Rolin” di Van Eyck porta una specie di turbante rosso, come altre dello stesso pittore (in particolare uno dei due “testimoni” nello specchio degli “Arnolfini”, la figurina riflessa nella corazza di San Giorgio nella “Madonna Van Der Paele” e soprattutto nel “Ritratto dell’uomo con il turbante rosso”) in cui qualcuno ha voluto vedere un autoritratto del grande artista.       
 
 












Se così fosse, vien da fare una piccola riflessione prendendo a confronto il “San Luca che dipinge la Madonna” di Rogier van der Weyden, lasciando perdere gli altri suoi presunti autoritratti. I quadri come è noto hanno molte cose simili, citazione omaggio o ripresa agonistica che sia il secondo.
Van Eyck nella figurina della “Madonna Rolin” che parla con la figura di schiena accanto a lei, lascia un segno indecidibile quanto all’identificazione. E’ al centro del quadro, ma sullo sfondo, intento ad altro rispetto alla scena principale, che osserva l’omino che guarda giù dagli spalti forse chiedendogli cosa c’è di così speciale da aver attratto la sua curiosità. Ha il bastone del pellegrino (o della persona anziana), ma il vestito è abbastanza lussuoso, ampio, di velluto si direbbe, con un bordo di pelliccia, e il copricapo modaiolo così abbondante che basterebbe a confezionare un abitino a una ragazzina. Non guarda quello che guarda l’altro, è appena arrivato, o lo accompagnava da prima, e forse ha un breve dialogo con lui che una volta ho persino immaginato (vedi appendice). E’ un passeggiatore svagato con cui mi è facile identificarmi, curioso ma non troppo, che poi proseguirà seguendo i suoi pensieri, fermandosi ogni tanto a osservare qualcosa, ma lasciando la visione, quella “vera”, al cancelliere (nel quadro) e allo spettatore (del quadro).


Van der Weyden invece si mette in primo piano nelle vesti di San Luca, patrono dei pittori che gli hanno intitolato la loro gilda, mascherato e insieme rivelato dalla veste e dalla convenzione iconografica, che del resto egli contribuisce a fondare o ad affermare, almeno in questa forma, artefice alla e della presenza del divino. La conferma dell’identificazione, caso mai ce ne fosse bisogno, viene da altri ritratti che si possono rinvenire in altre opere, miniature e arazzi che gli studiosi hanno identificato e confrontato e verificato con gli opportuni documenti nel tempo.
E’ bastato poco perché l’autore, entrato di soppiatto nel quadro, balzasse alla ribalta e oscurasse (o meglio: subordinasse), il resto alla sua arte, la sua di lui esibita nel suo farsi, o meglio ancora rappresentata, recitata, nell’idealità di un fare nobilitato, da cui ogni traccia dell’effettiva materialità del lavoro (veste sporca di pittura, disordine dello studio, apprendisti che macinano colori...) è stata eliminata, persino nel ricordo, anche se il ritrarre prende l’apparenza del gesto devoto, della preghiera addirittura, e certo devoto lo è per davvero.

Le due figurine sugli spalti richiamano ovviamente quelle di Van Eyck, ma con significativi cambiamenti. Quelle del San Luca, sono più grandi. Prima di tutto sono un uomo e una donna. Di schiena è la donna, che si inclina un po’ alla sua destra a guardare ciò che con gesto esplicito le sta mostrando (a lei come allo spettatore del quadro, forse con lo stesso dialogo che ho immaginato per Van Eyck), l’uomo, che porta un cappello morbido di panno o pelliccia, da cui spunta, sulle spalle, un panno rosso che si prolunga come una coda fin quasi a terra, come se il turbante del suo corrispettivo vaneyckiano fosse stato sciolto e usato come scialle, o sciarpa, o ornamento vezzoso. Una citazione esplicita del colore comunque del turbante, e una ripresa di quello dell’abito di San Luca. Una specie di parentela, di doppio di quest’ultimo, che in tal modo si appropria anche di questo aspetto della visione, quasi a tenere tutto sotto controllo, dalla Vergine davanti a lui, come figura reale più che immaginata o ricevuta in visione, a dispetto dell’ovvia sfasatura temporale che certamente anche il pittore aveva presente, a ogni aspetto della realtà, la sala magnifica dell’ambientazione, i fiori ai piedi delle figurine, la città sulla sinistra, con altre figurine intente a gesti quotidiani anche non propriamente dignitosi (come quella che sembra urinare contro un muro), alla chiesa o palazzo con la cinta muraria e al paesaggio sulla destra, fino alla superficie spumosa del fiume sulla quale trova spazio, e si direbbe il suo ritratto, ogni singola onda, ciò che c’è di più labile e fuggitivo. Perché, come dirà due secoli dopo Francisco de Quevedo, “solamente lo fugitivo permanece y dura” e anche questo sta al pittore prestare attenzione e dipingere. Forse soprattutto questo.


Appendice (facoltativa)
A (uomo di profilo): Cosa stai sempre a guardare giù nel fiume?
B (figura di schiena): Non so, mi piace l’acqua che scorre, i riflessi delle cose e i giochi della luce... e poi ogni tanto passa qualcosa di interessante...
A: Vedi qualcosa adesso?
B: Sì, adesso sta sbucando un oggetto rettangolare; un libro, mi sembra...
A: Sicuro che non sia una delle solite schifezze che provengono dalle cucine o dalle fogne del palazzo?
B: No, è proprio un libro. Mi sembra addirittura di distinguerne la copertina.
A: Che occhio di falco!
B: In un quadro come questo, l’occhio di falco è il requisito minimo…
A: E come sarebbe ‘sta copertina?
B: Aspetta... c’è un’immagine… Ma quelli siamo noi due!
A: Noi due!
B: Distinguo tutto perfettamente, come in una visione: riesco a leggere anche il titolo.
A: Sì, figuriamoci… E quale sarebbe?
B: Figura di schiena. L’autore è un certo Luigi Grazioli.
A: Mai sentito nominare. Sicuro che non mi stai prendendo in giro?
B: Anche per me è un perfetto sconosciuto. Se mi aspetti, corro a riva per cercare di recuperarlo.
A: Dev’essere molto leggero se sta ancora a galla...
B: ...o forse lo hanno appena gettato da quella finestra del Cancelliere...

(Di sopra, l’occhio bovino dell’uomo in tenuta da cerimonia fissa la bella donna elegantemente vestita col bambino in braccio, ma chissà se la vede davvero…)

06/05/20

Ragazzo con cuffie che legge in libreria



Avevo un impegno alle 10,30, così sono entrato alla Feltrinelli per leggere un'oretta. Seduto in una poltroncina tra gli scaffali più defilati, c'era un ragazzo con grandi cuffie sulle orecchie che leggeva un librone immagino fantasy o simile. Al ritorno, dopo mezzogiorno, passando accanto alla vetrina l'ho visto ancora lì. Mi si è allargato il cuore. Sono sentimentale e non me ne dispiace. Quando avevo la sua età non c'erano librerie così, e poi io abitavo in provincia e dovevo accontentarmi di leggere in classe con i professori che continuavano a richiamarmi, inutilmente peraltro. Chissà quanto avrei bigiato. E invece andavo in classe tutte le sante mattine, prendevo il romanzo di turno, o i classici greci e latini, e leggevo fino all'una, salvo compiti e interrogazioni. Andavo a scuola volentieri, anche se non pensavo a me in termini sentimentali. Il cuore si allargava leggendo. Ma è bello anche adesso, quando vedo un ragazzo come me che passa la mattina in libreria. E poi oggi c'è un sole primaverile. Tira un bel venticello e mi illudo, nonostante sia a Milano, che l'aria sia pura.

(Questo lo dedico a Ise De Leonardis, che mi dice che sono triste e parlo solo di vecchiaia. Vedi che ci sono anche i giovani qui? Anche se tra un po' mi vedo con un vecchiaccio che conosci... Abbraccio!)

04/05/20

E' colpa mia


Mentre giocavo con "Il piccolo chimico" devo aver creato senza saperlo qualcosa di forse pericoloso, che poi ho fatto assumere a qualche amico e compagno occasionale di giochi, gettando nelle fogne il resto. Non so se e quanto fosse davvero pericoloso, anche se sono quasi certo che una qualche pericolosità l'aveva, a giudicare dalla successiva evoluzione mentale di alcuni di quelli che l'hanno assunto e delle persone a loro vicine e di quelle vicine a queste. Non sto a enumerare le prove che suffragano i miei sospetti: sono sotto gli occhi di tutti. Lo dico perché se qualche ricercatore di una prestigiosa università dovesse imbattersi in questo agente sconosciuto, sappia da che laboratorio proviene e con un facile calcolcolo misuri i tempi e la vastità della diffusione. Essendo io a quei tempi ampiamente minorenne, comunque, non sono imputabile. Ma se qualche zazzeruto uomo politico volesse scatenare una guerra per vendetta contro di me, lo prego di non farlo. Mi arrendo a priori.

01/05/20

Lorenzo Lotto, Busto di Donna e altri vecchi appunti da una mostra di Dürer (2018)



Splendido “Busto di donna” del Lotto, del 1506, mai visto prima (per forza, è a Digione, nel museo con i “primitivi” fiamminghi e borgognoni e tutto il resto, che rimpiango sempre di non aver visitato l’unica volta che sono passato per quella città, quando ero giovane e stupido e avevo fretta di arrivare a Parigi). Lei è una che ho visto in giro, più volte, dalle mie parti (con il Lotto mi càpita, ogni tanto); forse è stata addirittura mia allieva, da ragazza (ricordo anche nome e cognome, se è lei: Nicoletta O.). Se la confronto con il “Ritratto di donna” di Dürer, del 1497, da Francoforte, e con il “Ritratto di dama” di Andrea Solario, che ho visto tante volte al Castello, pure bellissimo, anche lei con tutto che l’ho vista in giro spesso, ma idealizzata qui, a cui è accostata dal curatore, c’è tutta un’altra vita, paciosa, che fa sorridere quasi, in quel volto tondo, dalle labbra piccole, un accenno di doppio mento, da contadina, anche se non lo è, come dimostrano, non bastasse che si è fatta fare un ritratto, l’abito, semplice ma non austero né tantomeno povero, e quello sguardo un po’ tonto, non propriamente sveglio, ma a prima vista rassicurante, buono, se non ci fosse poi un sospetto, in fondo, di determinazione, capace di efferatezza persino, se toccata nel suo intimo, nella sua famiglia, nei suoi beni.


 
1
Nella grande e composita xilografia di Tiziano “Sommersione dell'esercito del faraone nel Mar Rosso”, alcuni fogli sono praticamente astratti: linee ondulate (onde), tratteggi orizzontali (nubi e, in basso, mare – solo con una casetta questo, e segni di rocce e cespugli in basso a sinistra in quello delle onde, con in alto nel terzo foglio da sinistra segni che alludono a un promontorio con costruzioni appena accennate e forse un pontile). Mi ricordano tante cose.

 
 
Bellissima fds in “Battaglia di cavalieri”, penna e inchiostro di Dürer.

3
è davvero significativo che ormai molti, io per primo, estraggano solo dei dettagli per le loro riflessioni e invenzioni, meglio se disposti in serie (mani, libri, grafie, figure di schiena...) evitando accuratamente di affrontare l’opera nel suo insieme, non solo per il timore di dire sciocchezze non avendola studiata abbastanza o per non ripetere cose risapute, ma come se non fosse più possibile scriverne dopo tutto ciò che ne è stato detto in passato, a meno di fare un lavoro approfonditissimo di erudizione e filologia, inclusi gli aspetti materiali, le letture spettrografiche e chimiche ecc., e scrivere un volumone per ogni quadro. Che resterebbe poi da collegare al resto dell’opera del suo autore e ai richiami, prestiti e variazioni dall’iconografia dell’argomento ma anche di altre opere di altri autori per questo e quel dettaglio. Altri volumi. Così il dilettante si assolve, e può lanciarsi nelle sue fantasie, sparando cazzate a ruota libera, come faccio io.

4
Bernardo Prevedari, “Interno di un tempio con figure” (riproduzione di un disegno di Bramante, bulino, Milano, Civica raccolta stampe).
In un oculo o apertura sopra un’abside, disegnata in prospettiva e quasi trompe-l'oeil, finta nella finzione, a cui corrisponde, sulla destra, un rosone, proprio sopra (nel disegno, non nello spazio prospettico) un monumento che termina con una colonna sul cui piedistallo c’è la scritta “BRAMANTU/S (o g) FECIT/ IN MLO”, quasi vi fosse infilzata, c’è una grossa testa vista di nuca, riccioluta, che guarda fuori, verso un cielo immaginario.















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Bellissimo manoscritto del 1518, di anonimo copista, del De pictura di L.B. Alberti

6
Piccolo (una spanna) e meraviglioso “San Girolamo penitente”, con sul retro un meteorite che squarcia le nubi, completamente astratto, se non ci fosse il titolo a soccorrere. (La riproduzione non rende minimamente l'idea.)
Poi un altrettanto piccolo, bellissimo “Paesaggio con la famiglia del fauno”, di Altdorfer.
 

8
Però, dai, per dedicare un acquerello di misure neanche piccole (si direbbe a grandezza reale, o anche qualcosa in più), a un granchio, curatissimo in ogni dettaglio, beh, bisogna essere grandi!
(Anche Leonardo, nel 1503, cioè 8 anni dopo Dürer, ne ha fatto degli studi: ma appunto! E comunque solo studi, non un lavoro autonomo.)