12/12/19

Gli abiti degli angeli




Stamattina mi sono svegliato pensando agli abiti degli angeli. Come fanno a indossarli con l'ingombro delle ali? Ci sono bottoni sulle spalle? Fessure? Asole? Buchi? Tagli, come quelli di Fontana? Ma lunghi quanto per poterle infilare? Come fanno a farci passare qualcosa, quando spesso sono così grandi? Gli angioletti se la cavano: sono nudi. Anche i demoni. Ma gli angeli adulti? quei magnifici esemplari in vesti fastose che portano l'annuncio a Maria? A meno che non ci sia un sistema complicato di aperture in corrispondenza dell'attacco alle spalle, o alle scapole, e poi due lembi per abbottonarli sopra l'attacco e un terzo per unire i lembi alla base del collo, ciò che comporterebbe una dama di camera, o un angelo di grado inferiore, per aiutare nella vestizione, anche di semplici tuniche. Lo so che sono dubbi inficiati di basso materialismo. Che in questo campo i risvolti pratici non contano. Che lo sguardo quotidiano è fuori luogo. Non pertinente.
Eppure continuo a pensarci.
Come se solo lo sguardo quotidiano avessi. Come se fossi capace solo di quello e vi fossi imprigionato come in una corazza, in un abito stretto. Senza ali. Che difatti non ho.




09/12/19

La coerenza viene dopo


Continuazione di Tempo variabile


La coerenza viene dopo, quando, a bocce ferme, si postula la possibilità, e anzi il dovere, di infilare in una sequenza lineare, univoca e possibilmente ben connessa e conseguente, gli eventi, di arrivare a stabilire una storia che vada dalla A alla Z, un inizio e una fine, entrambi certi, definiti, che si possano impacchettare e chiudere da qualche parte, per estrarli all’occorrenza o da sfogliare come un album di famiglia: la propria. Quando cioè il tempo stesso è già diventato lineare, o quando si vuole che diventi lineare e allora una storia che lo puntelli e lo mostri è indispensabile, se non è già essa stessa a contribuire a farlo diventare tale; lineare e quindi orientato verso un(a) fine, che proietta all’indietro, cioè presuppone, un inizio, una storia anche di ciò che storia non ha, perché sta(rebbe) al suo inizio. Una storia dell’origine. Del prima. Del fuori. Che diventa origine uscendo da se stessa con un balzo. A posteriori, quando il balzo è già stato fatto. Quando un B fa di essa un A. E possibilmente non solo un B, ma già un B e C e D… La storia impossibile di ciò che non ha nulla prima di sé, e quindi neanche un dopo. E che quindi non c’è.
Si parte dalla genealogia, per risalire a un punto zero, in cui esso diventa uno, e da lì ripartire a contare. Ma la genealogia può cominciare solo se c’è almeno una seconda generazione, o, meglio, una terza una quarta. Quando si comincia a guardare indietro perché già laggiù in fondo non si vede più, è tutto nebuloso, sparito dimenticato. Perché allora (quando?), non c’era nessun bisogno di ricordare. Era tutto già lì. Lì dove? Lì cosa? Chissà. Tracciamo un percorso, raccontiamo una storia, scartiamo le scorie, diamo un nome e cominciamo da capo. Da qui. Ricominciamo.

04/12/19

Tempo variabile



La mitologia ha in spregio il decorso temporale, sia lineare che ciclico. Non si riesce a mettere in fila e a far collimare niente di niente. Non c’è coerenza se non all’interno della versione della storia che viene di volta in volta narrata. E anche lì, non sempre.
Se si prendono tre storie, per esempio, con protagonisti A, B e C:
A può essere giovane, o non ancora nato, quando B è adulto e C vecchio;
B però può essere più giovane di A quando questi sposa la figlia di C e poi lo uccide (a meno che non siano coetanei e lo uccida perché è il fratello o un aspirante alla donna che sarà, o è già, sua sposa);
C è più giovane di A quando questi sposa la figlia di B e poi lo uccide.

Paride è giovane alle nozze di Peleo e Teti, quando incontra Elena, cha ha già avuto una figlia, Ermione, ora di 9 anni, da Menelao, che poco dopo muoverà guerra a Troia avendo come guerriero più forte del suo esercito Achille, che secondo il mio calendario non dovrebbe essere ancora nato ecc.
Ma quella della guerra di Troia è un’altra storia, che deriva da questa, ma ha una sua autonomia, e quindi una diversa temporalità.
Poi tutto finisce nel mito, e il tempo perde pertinenza, svanisce.
A farci caso sono solo i pignoli e i filologi, tutti miscredenti.

01/12/19

Apparizioni (Appunti su Vermeer non entrati in "Figura di schiena")



Nell’assumere le scene di genere più risapute, le scene di genere “tipiche”, che sembrano non simbolizzare nient’altro che se stesse in quanto “scena di genere”, senza all’apparenza modificarle, cioè innovarle criticarle o parodiarle, Vermeer di fatto le svuota, per farne, invece di un momento di una narrazione tutto sommato prevedibile nel suo svolgimento e simbolismo, il punto immobile, senza tempo, dove formicolano mille storie potenziali che però non potranno mai prendere forma, se non quella, sempre deludente, delle debolezze, delle presunzioni o delle minuscole ossessioni degli spettatori. Pur nella loro teatralità (nella loro impaginazione teatrale, voluta, costruita), in queste scene infatti compaiono non persone (come sarebbe se fossero ritratti, perché anche se lo sono di modelli reali – perlopiù famigliari, si suppone – i tratti personali sono smorzati, de-individualizzati, se non elisi del tutto, che sarebbe impossibile), né personaggi (come sarebbe se fossero citazioni o allusioni a scene di genere) o figure simboliche caricate di elementi iconologici o allegorici consolidati (nei pochi casi in cui sembrano esserlo, c’è sempre qualcosa che però li rende ambigui e mette come in dubbio: si vedano le due grandi allegorie della pittura e della fede, per le quali non ci si è ancora messi d’accordo sui molti dei dettagli più importanti), bensì apparizioni. Cioè figure colte nel momento del loro apparire, come se non avessero né passato alle loro spalle né futuro davanti a loro, un momento compiuto in se stesso, nel fulgore del loro essere nel momento in cui vengono ad essere, senza storia, che ne contiene forse infinite (o molte, non enfatizziamo inutilmente), ma il cui istante successivo, se mai ci sarà, sarà quello della loro sparizione.

(A volte l'apparizione è doppia. Come nel quadro riprodotto sopra. Ma può essere anche un colore o un'ombra, come quella della sedia nell'altra donna che legge, quella con la giacchetta blu del Rijksmuseum. Dove addirittura ci sono, ma nelle riproduzioni non si vedono, altre ombre più leggere, azzurre, almeno una, ombra di ombra, della sedia e della giacca, o di entrambe, che ho visto, o mi è parso di vedere, ma sono sicuro di averle viste davvero, un mattino a Amsterdam.)