27/09/22

Il vispo Tereso

 


che se uno scorre la mia bacheca e guarda le foto e i titoli, quando ci sono, o legge le prime righe, o anche tutte, pensa che vivo fuori dal mondo, con tutto quello che succede, o in una piccola porzione di mondo, una scatolina, di banalità e piccolezze locali e quotidiane, un idillio che finge di non essere alienato, di non vedere a un palmo dal naso (dai, diciamo due...), in mezzo a minuzie, macchiette paesane, giardinetti, corsi d'acqua non inquinati, graziosi animaletti, storielle leggere, vacue, inconsistenti, per fortuna brevi, con al centro un ego minimo quanto mai ingombrante, gigantesco, che occupa tutto come se lui fosse tutto, o fosse tutti, con la pretesa magari di essere chiunque, uno alla volta, chiunque legga, e insomma nessuno escluso, ma non essendo, di fatto, proprio niente di importante e significativo, e quindi, in verità, alla lettera nessuno, niente, ma proprio niente e nessuno, ecco, quel tale avrebbe ragione. E' esattamente questo, esattamente così.

20/09/22

Il momento esatto in cui la notte finisce


Oggi sono uscito di casa nell'esatto momento in cui la notte finiva. Erano le 7,05, c'era tutto buio, la luna uno spicchio sottile, prossimo a estinguersi anche se brillante. Dopo 500 metri, appena imboccata la strada per Pontirolo, l'unica fonte di luce è rimasta lei. Per 5 km è aperta campagna, senza case né lampioni, con scarsissimo traffico a quest'ora, ma molto pericoloso, perché gli autisti si sentono al sicuro e, nonostante la strada stretta, vanno a forte velocità, tagliano le curve con gli abbaglianti accesi e si concedono più distrazioni del solito. A chi cavolo telefoneranno così presto? Oggi ho incontrato quattro macchine e Mariangela con le due cugine che camminavano sul bordo dell'asfalto avvolte da giacche catarifrangenti: andavano di buona lena, ma spesso si accostavano per scambiare qualche parola, con il rischio che esattamente allora sbucasse un bolide. Cosa cavolo avranno sempre da dirsi, dopo tutti gli anni che camminano assieme? Di sicuro non si raccontano i sogni, se ne hanno ancora. Io, per esempio, non ne ho.

Il cielo era ancora scuro, l'orizzonte non si vedeva, le masse degli alberi nere e non definite, i confini tra i campi indiscernibili. Ma subito è comparso un lucore minimo, senza fonte, che non si posava sulle cose ma restava sospeso nell'aria, inconsistente, come se questi primi raggi infiltrati di contrabbando nell'atmosfera non avessero la forza di raggiungere il mondo e si accontentassero di galleggiare lì, ad altezza incerta, consumandosi nel vuoto, nel suo interregno. Nell'intervallo tra qualcosa che non c'è più e altro che ancora non si sa (se poi verrà).

Poi, nei 5 minuti successivi, pian piano, pur senza riuscire ancora ad affermarsi, si sono rafforzati. Restava ancora tutto buio, ma cominciavano a emergere le masse, a delinearsi i contorni più vistosi, e la guazza, in lontananza, a brillare fiocamente, sospesa sui campi, a nascondere in tronchi degli alberi giù in fondo, a bendarli nel mentre resecava le radici dalle chiome. Il cielo rimaneva buio, ma a un certo punto, dietro la linea bassa degli alberi, ho cominciato a vedere il profilo delle nubi, che forse sono solo la forma notturna dell'umidità, sopra l'orizzonte.

Man mano che procedevo verso la Geromina, gli alberi uscivano dall'indistinto, e i margini dei fossi tra i campi. Grosse linee irregolari, spatolate di buio nel buio. Una debolissima punteggiatura rosata tentava di forzare il limite basso del cielo, ma forse era solo un desiderio, suo e mio. Le cose si arricchivano dei loro lineamenti, gli alberi delle foglie, prima a gruppi, in piccoli addensamenti dal profilo netto, poi nel dettaglio, ad una ad una.

Poi, raggiunte le case, sono apparsi tra gli alberi del viale, i lampioni, e anche se sopra il cielo si caricava di azzurro, la luce elettrica lo sovrastava e permeava. Meglio: lo contrastava e insieme lo metteva in risalto, lo caricava; e in quel momento, per qualche secondo, anche quel contrasto era bello. Se alzavo gli occhi verso il più alto del cielo, vedevo il blu perdere il nero e acquistare brillanza. L'orizzonte diventava violetto, ma si scorgeva raramente dietro il profilo delle case, o negli scarsi intervalli.

Ora che sono seduto in treno e guardo dal finestrino, in attesa che parta, l'orizzonte è di un pallido fucsia, le nubi sottili appena tinteggiate, e il resto è azzurro scipito. Tutto il resto.

08/09/22

C’era questo ragazzino che pescava accanto al padre


 

 


C’era questo ragazzino che pescava accanto al padre sul ponte del canale e stava rigettando in acqua un cavedano appena catturato. Anche il padre aveva una canna, ma era voltato dall’altra parte. I padri lo fanno spesso.

Ho visto solo la parte finale dell’operazione e non ho chiesto niente. I passanti lo fanno, a volte. Già sapevo. Il moderno pescatore fluviale* libera dall’amo la preda non appena tirata a riva e la restituisce al suo elemento curando di non allargare troppo la ferita nel togliere l’amo, che se poi si stacca un pezzo di labbro, pazienza.

Non credo che lo faccia perché si tratta di pesci pieni di lische o dal sapore sgradevole, o perché l’acqua è inquinata: è che gli piace la nobiltà della lotta e riconosce l’onore delle armi allo sconfitto che ha lottato senza risparmio. Ogni lotta comporta violenza, ma ama credere che la riduce al minimo indispensabile. Più un pescatore è bravo, più violenza economizza: è duro, non spietato. Anche l’avversario ha la possibilità di vincere: remota, ma c’è, pensa; se no che gusto ci sarebbe a vincere, una volta vinta la fame, il primo avversario?  Ciò che lui cerca, più di tutto, è il cerimoniale della lotta. L’attesa, la preparazione, i tentativi a vuoto, la pazienza e poi il confronto. E’ un cultore dell’agonismo silenzioso. Un eroe muto. Anzi, due: c’è anche il pesce. Ma le sue riflessioni restano un mistero.

 

* Meglio: il moderno pescatore fluviale italiano. La precisazione è necessaria, perché i pescatori balcanici, numerosissimi, col cavolo che si privano della loro preda: bisogno, cultura o orgoglio che sia, se uno va a pesca è per prendere pesci all’amo e mangiarseli, in famiglia o con gli amici, mica per fare opere buone, di finta misericordia.

05/09/22

Amico che secondo me non sa quel che dice

 



Oltre a mostrare i mille modi in cui le cose sono, dice, a cercare di rappresentarle “come e per quel che sono”, nel loro venire ad essere, contemporaneamente cerca, nello stesso gesto e movimento, di mostrare i mille e più modi della loro assenza, e più ancora, meglio, del loro venir meno, del loro assentarsi e svanire e dissolversi: del loro morire – che forse consiste, è, solo in questa sua “rappresentazione”, o “indicazione” o “evocazione” ecc. ... mentre poi, di fatto, aggiunge, tutto ciò che è morto, che uno ha ucciso – terminato, chiuso, abbandonato... – torna poi a uccidere lui.