20/09/22

Il momento esatto in cui la notte finisce


Oggi sono uscito di casa nell'esatto momento in cui la notte finiva. Erano le 7,05, c'era tutto buio, la luna uno spicchio sottile, prossimo a estinguersi anche se brillante. Dopo 500 metri, appena imboccata la strada per Pontirolo, l'unica fonte di luce è rimasta lei. Per 5 km è aperta campagna, senza case né lampioni, con scarsissimo traffico a quest'ora, ma molto pericoloso, perché gli autisti si sentono al sicuro e, nonostante la strada stretta, vanno a forte velocità, tagliano le curve con gli abbaglianti accesi e si concedono più distrazioni del solito. A chi cavolo telefoneranno così presto? Oggi ho incontrato quattro macchine e Mariangela con le due cugine che camminavano sul bordo dell'asfalto avvolte da giacche catarifrangenti: andavano di buona lena, ma spesso si accostavano per scambiare qualche parola, con il rischio che esattamente allora sbucasse un bolide. Cosa cavolo avranno sempre da dirsi, dopo tutti gli anni che camminano assieme? Di sicuro non si raccontano i sogni, se ne hanno ancora. Io, per esempio, non ne ho.

Il cielo era ancora scuro, l'orizzonte non si vedeva, le masse degli alberi nere e non definite, i confini tra i campi indiscernibili. Ma subito è comparso un lucore minimo, senza fonte, che non si posava sulle cose ma restava sospeso nell'aria, inconsistente, come se questi primi raggi infiltrati di contrabbando nell'atmosfera non avessero la forza di raggiungere il mondo e si accontentassero di galleggiare lì, ad altezza incerta, consumandosi nel vuoto, nel suo interregno. Nell'intervallo tra qualcosa che non c'è più e altro che ancora non si sa (se poi verrà).

Poi, nei 5 minuti successivi, pian piano, pur senza riuscire ancora ad affermarsi, si sono rafforzati. Restava ancora tutto buio, ma cominciavano a emergere le masse, a delinearsi i contorni più vistosi, e la guazza, in lontananza, a brillare fiocamente, sospesa sui campi, a nascondere in tronchi degli alberi giù in fondo, a bendarli nel mentre resecava le radici dalle chiome. Il cielo rimaneva buio, ma a un certo punto, dietro la linea bassa degli alberi, ho cominciato a vedere il profilo delle nubi, che forse sono solo la forma notturna dell'umidità, sopra l'orizzonte.

Man mano che procedevo verso la Geromina, gli alberi uscivano dall'indistinto, e i margini dei fossi tra i campi. Grosse linee irregolari, spatolate di buio nel buio. Una debolissima punteggiatura rosata tentava di forzare il limite basso del cielo, ma forse era solo un desiderio, suo e mio. Le cose si arricchivano dei loro lineamenti, gli alberi delle foglie, prima a gruppi, in piccoli addensamenti dal profilo netto, poi nel dettaglio, ad una ad una.

Poi, raggiunte le case, sono apparsi tra gli alberi del viale, i lampioni, e anche se sopra il cielo si caricava di azzurro, la luce elettrica lo sovrastava e permeava. Meglio: lo contrastava e insieme lo metteva in risalto, lo caricava; e in quel momento, per qualche secondo, anche quel contrasto era bello. Se alzavo gli occhi verso il più alto del cielo, vedevo il blu perdere il nero e acquistare brillanza. L'orizzonte diventava violetto, ma si scorgeva raramente dietro il profilo delle case, o negli scarsi intervalli.

Ora che sono seduto in treno e guardo dal finestrino, in attesa che parta, l'orizzonte è di un pallido fucsia, le nubi sottili appena tinteggiate, e il resto è azzurro scipito. Tutto il resto.

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