10/09/14

Angoscia in bottiglia. (Magari è solo resina.)





Tutto quello che riesce a spremere da sé, da un bel po' di tempo a questa parte, dice sorridendo, è solo angoscia allo stato puro. Bella densa, scura. Con un vago sentore animale. Di pantera profumata, immagino: dico io. No, un sentore di
animale ignoto. Di quelli che si percepiscono a volte nei boschi, e magari è solo resina. Muschi, funghi. Riuscisse a imbottigliarla, ne avrebbe una botte piena, da aggiungere a quelle di altre annate recenti e lontane. Annate doc. Ma anche fosse, è una merce poco richiesta, che non vende, obietto. Pare inoltre che ci sia una certa inflazione, anche se di scarsa qualità: quella in appannaggio a ogni nascita, che poi di regola vaporizza lasciando qualche sedimento qua e là, poltiglia, che all'occorrenza viene gonfiata con metanoli vari o usata come ingrediente di altre merci, giusto per insaporirle. La sua invece resisterebbe alle più rigorose indagini di laboratorio. Non è il caso di vantarsi, osservo io. Perché no? Ognuno si compiace di ciò che ha e sa fare meglio, dice. O si illude di saper fare. L'esclusiva è sempre un titolo di merito.
Certo, per spremerla senza adulterarla è necessario tutto un apparato tecnico che lei non è assolutamente in grado di predisporre. Del corredo dell'angoscia, come è noto (qui un altro sorriso: si capisce che parlarne gli fa bene), l'inazione è una delle componenti principali. Inedia, desolazione, perdita repentina di valore e significato di ogni azione o pensiero, discontinuità, o continuità solo delle interruzioni, fiacchezza, offuscamento, caduta praticamente di tutto (il termine caducità compare solo nel linguaggio forbito dei resoconti a posteriori, sempre nobilitanti, anche quando schiacciano il pedale dell'abiezione), incipit a raffica, ma incipit di niente... o di nient'altro che di se stessi, incipit allo stato puro, entelechie...
Devo continuare? Se vuoi; tanto non ho niente da fare. Ecco, appunto.
Figuriamoci se si mette (chi? lui? l'angoscia? o entrambi, fusi in uno come due amanti, in un'estasi al negativo) a studiare i metodi produttivi e il merchandising, per poi, come no?, impiantare un laboratorio o un'officinetta per l'estrazione e la lavorazione, con tutti gli annessi e connessi indispensabili. E d'altra parte nessun altro lo potrebbe fare in sua vece. Impensabile! E' una merce talmente legata al suo produttore, talmente connaturata, consustanziale, che ogni intervento o anche un banale contatto esterno già la corrompe. E allora addio purezza. E con la purezza, addio anche a un ipotetico valore di mercato. Per la purezza uno se ne trova sempre.
Si potrebbe pensare, per esempio, a un suo uso come arma chimica, ipotizzo io. Giusto!, la si potrebbe diffondere laddove si soffre di eccessi di vitalità, in posti dove si è ancora fermi allo stato della preoccupazione e del bisogno, che inducono agitazioni inconsulte con effetti anche deleteri qualora all'una o all'altro, come è quasi sempre il caso, non si possa ovviare: alleviandoli, non si dice ponendovi fine. Mica si può pretendere tutto.
La si potrebbe distribuire nei bar alla moda, o in localacci qualsiasi che diventerebbero alla moda ipso fatto, illico et immediate. Oppure la si potrebbe regalare, in confezioni lussuose, con etichette misteriose e denominazioni ammiccanti, ai rampolli della buona società, o a qualche personaggio popolare tra i giovani (i vecchi se ne fregano, e se condividono predilezioni giovanili vuol dire che sono già rimbambiti di per sé), per le loro feste esclusive, come oggetto blasé, da invidiare e desiderare subito, a tutti i costi, ambizione inutile per cui svenarsi... Difficile averne sufficienti quantitativi puri, ma per quella gente, non ancora avvezza, anche dosi diluite funzionerebbero alla grande.
E altre ipotesi si potrebbero studiare, dico io, troppo compiacente come al solito. Come se mi importasse.
Il problema, per i produttori, riprende lui ormai in preda all'entusiasmo, sarebbe che, appena intravista una finalità esterna, o addirittura un utile, la fonte perderebbe le sue motivazioni, e di conseguenza diminuirebbero le risorse, il prodotto comincerebbe ad alterarsi, la produttività a scemare fino a cessare del tutto. Si potrebbe però ovviare, aggiunge, mantenendo alto il numero dei produttori, in modo che, nei periodi in cui si interrompe la produzione da una parte, continui da altre. In attesa che le frustrazioni che seguirebbero alla scomparsa dei benefici inneschino un nuovo ciclo. Nel contempo si potrebbero studiare efficaci prodotti di sintesi. Le università ci sono apposta. Ma più ancora, predisporre le condizioni, da qualche parte, perché il bacino dei fornitori resti sempre molto alto. Luoghi adatti non ne mancano. L'Italia, per esempio.

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