26/07/15

Marta e Maria (il raccattabottiglie)



 C’era questo signore, un bel po’ meno giovane di me (che è tutto dire), che, mentre io il primo giorno soleggiato di questa primavera tardivissima, dopo essere andato a verificare se al mio cespuglio di rose canine erano spuntate le foglioline (sì), mi ero fermato sul ciglio dell’alzaia a guardare giù verso la boscaglia e l’antico corso del fiume, folgorato da quello che sul momento mi era parso il primo albero in fiore dell’anno (un pruno selvatico, credo), non ha fatto in tempo a sorpassarmi
a tutta velocità, elastico, elegante, che si è bloccato di colpo, è tornato sui suoi passi verso di me che mi sono riavuto all’istante dalla mia contemplazione, si è piegato verso l’erba ai bordi dello sterrato, ha raccolto con la sinistra una bottiglia di plastica ed è subito ripartito con un movimento fluido prima che io potessi leggerne almeno i lineamenti. Ma dopo appena cinque passi si è arrestato di nuovo, ha raccattato dall’erba qualcos’altro che, mentre riprendeva la corsa, ha riposto in un sacchetto di plastica che, solo ora lo notavo, stringeva nella destra e ha recuperato subito velocità, a busto eretto, la testa salda sul collo, il movimento delle braccia per nulla impedito dagli oggetti che teneva tra le mani. Ho estratto da tasca la macchinetta come un pistolero, ho chiuso lo zoom quasi al massimo e, sperando che andasse tutto bene, senza nemmeno inquadrare, sono riuscito a scattargli una foto sfocata appena prima che sparisse dietro una curva. Se già mi sentivo bene (per il sole, il cespuglio, il pruno in fiore: mica poco!), mi sono sentito ancora meglio al vederlo, a seguire la naturalezza dei gesti, la noncuranza di una cura fatta consuetudine; ma al contempo anche un po’ peggio. Per me, che non faccio che guardare. Non è vero, però così pensavo, convinto, allora. Per tutto il primo, e il secondo, e il terzo passo. Poi ho ripreso a respirare l’aria profumata.

 

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