19/12/16

Camera ardente



Le braccia allineate ai fianchi, le dita delle mani leggermente rattrappite e quelle dei piedi leggermente formicolanti, la testa immobile sul collo teso appena piegato all'indietro e le labbra sul punto di divaricarsi ma ancora che si toccano, sta in piedi rigido davanti al cadavere, in perfetta mimesi complementare: impossibile fare meglio. La direzione dello sguardo, dagli occhi socchiusi, sembra protendersi verso la parete dove, disegnata con scrupolosa precisione, la linea grigia dell'intonaco lavabile incontra quella bianca del soffitto, due centimetri sotto lo spigolo, a smorzarne le peraltro trascurabili irregolarità. Poco discosto, sulla parete accanto, la cassa sporgente dell'avvolgibile proietta, più pronunciata lungo l'ascissa, un'ombra sfumata, come dello sporco, che raggiunge la massima curvatura sotto il vertice, dove un ragnetto diafano, proveniente dal parato viola scandito da ricami e da nappe d'argento che costeggia i muri, sta iniziando il suo diverso rito. Comunque non lo vede, o se lo vede, si rifiuta di seguirlo, sempre più immobile. L'assenza di altre persone nella stanza si direbbe accentui lo sforzo di compostezza e la corrispondente vacuità di pensiero: appunto ciò che cercava. Al suo arrivo nessuno gli è venuto incontro né gli ha rivolto un'occhiata di riconoscimento o di sorpresa, e tanto meno un saluto o una domanda: ha sì intravisto da una porta laterale due donne e un uomo sussurrare attorno a un tavolo in un salotto imprecisato, ma là sono rimasti e continuano a rimanere anche ora, in silenzio, senza far mostra di averlo visto o di volerlo raggiungere, come se lui fosse invisibile. Né lui fa qualcosa perché lo notino, come se diventare invisibile, anche a se stesso, fosse, più che un semplice corollario, la meta, e il premio, della sua rigida immobilità. Non guarda la linea grigia né la curva d'ombra, né il ragno né il morto, che del resto nemmeno conosce. Sente, per ogni vena, il formicolio del sangue disarginato che dai piedi si diffonde in tutto il corpo, e anche questo lo distoglie dal tentare qualsiasi movimento; sente i capelli piegarsi al contatto della camicia: li sente uno per uno, fino alla radice, dentro la cute. Respira soltanto, lieve, nell'accostamento al proprio pleroma. Fra un istante, quando come è venuto se ne andrà, al suo passaggio le fiamme delle candele si piegheranno impercettibilmente verso la porta che, aperta, aveva interrotto la sua passeggiata, e i suoi passi sull'ammattonato lucido di cera rossa ripeteranno gli stessi liquidi scricchiolii dell'ingresso, gli stessi appena un po' smorzati.

Tela e disegno sono di Francesco Lauretta, che ringrazio molto. (Ciao Cccio!)

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