06/12/18

Una figura quasi di schiena nel "Martirio di San Matteo" del Caravaggio



Distratto da tutto il resto della scena, non avevo mai notato come fossero vaste, e imponenti, la schiena e le natiche della figura in primo piano in basso a destra del Martirio di san Matteo di San Luigi Dei Francesi. Così vicina a chi arriva davanti alla cappella Contarelli che questi manco la vede, attratto anche dalla famosissima Vocazione e dal bellissimo Evangelista che scrive ispirato dall’Angelo… a cui va l’attenzione. Per vedere meglio la prima, il visitatore si sposta a destra e lì resta anche per L’ispirazione, o San Matteo e l'angelo se si preferisce (lo spazio è poco, questa resta comunque pressoché frontale da qualsiasi angolo la si guardi), salvo poi vedere non benissimo il Martirio, anche perché nel frattempo è arrivata gente e non si riesce a spostarsi: senza contare che la macchinetta dove mettere il soldo per qualche altro minuto di luce si trova proprio lì accanto e se non ci pensa nessuno bisogna darle sempre altro cibo… E così lo vede di sguincio, tanto più che lo sguardo corre subito verso il centro dove c’è il fulcro della scena, l’assassinio, e poi va sopra, verso l’angelo che porge il ramo di palma,  – che richiama, ma non replica, quello dell’Ispirazione, per quanto, al di là delle numerosissime differenze, un legame ci sia, per la doppia testimonianza della scrittura e del martirio: tutto il resto sembra diverso, persino opposto, a cominciare dalla postura del corpo del santo, e che nell’ispirazione l’angelo sbuca dalla nube di un candido, avvolgente panneggio, e guarda negli occhi il santo e sembra sillabargli il testo, dettarlo, mentre nel Martiro il suo volto si vede poco, la nube è quasi tempestosa, scura, agitata e il suo corpo a capofitto all’ingiù, con le gambe scomposte in alto e tutta la tensione nel braccio che porge la palma (e tanto altro ci sarebbe da dire, ma non qui, qui mi preme altro… per quanto come si fa a separare: a separare i corpi, gli abiti, le posture, i movimenti e gli sguardi? … lascio agli studiosi, che grazie al cielo che ci sono) – e poi alla folla che assiste, al cui interno riconosce l’autoritratto del pittore, il giovane con il cappello piumato della vocazione e di tanti altri quadri con giocatori e zingare e ruffiane, per spostarsi poi al bambino che sta per fuggire gridando inorridito senza però riuscire a distogliere lo sguardo dalla scena della violenza, feroce come altre del pittore mio quasi compaesano, con lo stesso cognome di uno dei miei più cari amici di gioventù, e tornare infine, anche noi catturati dalla ferocia, al centro del quadro, al fulgore vitale dell’omicida e al santo riverso a terra, con il braccio alzato, tenuto dalla presa fortissima del giovane: un vecchio che basterebbe ancora meno a tener fermo… alzato, il braccio, come a ripararsi, ma anche a ricevere il ramo dall’angelo e a richiamare, assieme all’altro, le braccia di Cristo appeso alla croce, a cui tutto il corpo fa eco: un’eco orizzontale, perché come Pietro è appeso all’ingiù, perché persino i santi più santi, e anzi loro più di tutti, non sono degni di ripetere l’unico sacrificio che conta, quello del Salvatore…
E invece lì, a chiudere il percorso della lettura, in basso a destra della terza pagina, a sigillare la visione con un punto luminosissimo e cieco, cieco per troppa esposizione, dove lo sguardo è già pronto a tornare indietro a commuoversi (a soffrire e bearsi) ai fuochi delle tre scene, o, sazio, scivola via, ecco la carne bianca della figura di schiena, giovane, palpitate, viva.

(Anche se ancora sotto, per un bel tratto lungo il bordo, c’è quel panno che proprio verso l’angolo all’estremità si alza, come irrigidito, si erige, disegnando il contorno di un fallo, o il buio di una vagina, verrebbe da pensare a chi fosse maligno, prevenuto, sempre pronto a vedere quello che non c’è, a proiettare i propri fantasmi, le proprie frustrazioni, un altro che non fossi io, una di quelle bieche, miserrime figure che il sottoscritto rifiuta di prendere in considerazione e osserva disgustato, mentre si voltano, come a ridere soli con se stessi, prima di andarsene chissà dove, senza vergogna.) 


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