03/12/20

Non vedersi non vedere


È notte fonda e, contrariamente alla moglie che è tanto stanca da non riuscire a prenderlo pur essendone schiacciata, non ha ancora sonno. Legge. Se non legge non si addormenta, secondo una perversione ormai inveterata: gli sembra che la testa necessiti sempre di un supplemento di attività, prima di cedere. Altrimenti si troverebbe spaesato di fronte a un vuoto impossibile da colmare, sul lato faticoso della quiete. Leggendo, invece, si dimentica nelle parole, il corpo si rilassa e, tutte le difese allentate, il sonno può cominciare a invaderlo, dai piedi su su fino alla testa ormai popolata. Non cede subito però, vuole almeno finire il capitolo, non importa con quale profitto. Sa che le prime avvisaglie non contano, quindi resiste: solo quando il libro gli cadrà di mano sarà pronto e spegnerà la luce. Reprime gli sbadigli che con ritmo sempre più serrato lo sorprendono, anche per non disturbare la moglie che si avvia al primo sonno, così leggero in lei. Poi gliene sfugge uno secco e piuttosto rumoroso. Più che uno sbadiglio vero e proprio è l’effetto, e il concentrato, di tutti quelli che finora ha represso, quasi un rantolo spezzato, la loro vendetta. Subito la moglie si sveglia, si innervosisce e perde il sonno: ma insomma, un’altra volta! La coscienza della colpa e l’agitazione della moglie che egli assume e amplifica come a volerne liberare lei, a questo punto, fanno perdere il sonno anche a lui, che proprio in quel momento stava per posare il libro e spegnere la luce. La fuga dello sbadiglio infatti non era che l’atto finale della sua resa. Tanto più gli passa poi il sonno, quanto più si irrigidisce e, tardivamente, si controlla per non provocare altri rumori. Così, attonito e ansioso, osserva l’evolversi dei pensieri che la colpa ha innescato, fino a che, presto, si esauriscono.

Allora chiede, inutilmente, che qualche altro venga come un buon samaritano a visitarlo; quindi osserva la sua vana attesa e comincia a descriverla. È ancora, tanto è normale questa descrizione, una riproduzione del vuoto, ma proprio perché si tratta insieme di un vuoto, di un’azione e di un’attesa, forse, ecco che si fa strada qualche storia che, sempre invano, aveva inseguito durante il giorno, o se non quella, un’altra, magari migliore. Difficile giudicare però: è troppo eccitato! La segue sorpreso e per un po’ si lascia trascinare dal corso delle parole finalmente sbloccate, ripromettendosi di alzarsi non appena la moglie si è addormentata a fondo e di trascriverla. La segue ancora per un po’ per sicurezza, non si sa mai, poi ritorna alla frase iniziale, la più importante, per memorizzarla parola per parola, e su qualche particolare, per specificarlo o apportare improbabili migliorie, ma quando si alza, naturalmente, o tutto è svanito o ha perso rilevanza. Alcune scaramucce per rinfrescare il ricordo finiscono di svegliarlo, ma, a dispetto di uno strascico di desiderio che persiste vacuo, resta ancora al tavolo solo per inerzia e prostrazione: anche di leggere gli è passata la voglia, o la forza. Si guarda attorno: il tavolo, i libri, i quadri, il soffitto, i fogli, la stilo, per un ultimo, penoso, tentativo, e decide di tornare a letto. Lo fa con circospezione, a tentoni nel buio, attento a non svegliare di nuovo, e questa volta irrimediabilmente, la moglie, che già per l’eco negativa, per dir così, dei rumori soffocati dell’accostamento cambia posizione sbuffando nel sonno. Anche lui, sul materasso rigido e per fortuna silenzioso a causa dell’asse sottostante, cambia spesso, ma delicatamente, posizione, alla ricerca di quella giusta, ma nessuna lo è, dato che il sonno è definitivamente scomparso. Torna a irrigidirsi, supino, ad occhi aperti, scacciando parole e mezze frasi alle quali non intende dare più credito. Non vuole più ascoltarsi né ascoltare: guarda nel buio, e non vede, il soffitto, e sente che anche il soffitto lo guarda, a sua volta senza vederlo. Meno male. Chiude gli occhi per non vedersi non vedere. È disperato. Sorride e si addormenta.

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