18/09/21

Il circo (Filastrocche 1-4 - con disegni di Aldo Spoldi)



IL PRESENTATORE-MIMO
Da dire su di me non ho un bel niente:
se penso a me, mi si offusca la mente.
Poiché tuttavia non faccio che questo,
passo i miei giorni inebetito e mesto,
né il tempo potrà aggiungere uno iota
alla mia essenza, che è fasulla e vuota.
Per conto mio non saprei fare un gesto,
né provar nulla o cantare una nota:
sono un’operazione a somma zero,
non sono, non sarò e non sono stato.
Vorrei, ma neppur sono, a dire il vero,
l’assenza in qualche posto del creato.
Perciò mi affanno a raccoglier le scorie
lasciate dagli altri al loro passaggio,
e nel raccoglierle trovo il coraggio
       di esser qualcosa e, cucendo le storie,    
       vestire il nulla di finte memorie.
 
 
 
  BALLERINA
Alla ballerina fate attenzione
che di danzare ebbe la vocazione
a diciott’anni, quando dalla scuola
venne cacciata senz’altra parola.
Con scarso profitto la terza media
allor frequentava, come a commedia:
ben poca voglia aveva di studiare,
eppure a scuola le piaceva andare;
prof e compagni l’amavano tutti,
lei ricambiava con tutta se stessa,
che fossero belli o fossero brutti.
Piangeva la scuola triste e dimessa,
quando, nel sole di un giorno d’aprile,
a causa di una fama immeritata,
dovette lasciare il dolce cortile,
tempio di gioia ricevuta e data.
Adesso volteggia su questa pedana,
ancor generosa, la presunta putt...
E’ falso che a scuola mai niente s’impara,
è sempre la vita, poi, ad essere avara,
ma quando hai appreso a far l’altro felice,
fosse pure una volta, a tutto ti adatti,
la ballerina come la meretrice,
in casa, per strada, o in questa gabbia di matti.
 

 IL  PUGILE
Adesso attenzione, vedo che avanza,
in tutta la sua statuaria prestanza,
muovendosi come in un girotondo,
il pugil gentile, atleta che danza:
è il messicano campione del mondo,
il grande Quiroga, nome preclaro!
...o Figueroa? adesso non mi è chiaro...
Nato e cresciuto in una città maya,
di animo dolce, ma incline a sognare,
dovette un giorno, sfuggendo la naja,
clandestino in America emigrare.
Ma il tristo destino, mordace padrone,
lui che tutto voleva, eccetto che il male,
costrinse per fame a impugnare il guantone,
riempiendo di bestie ululanti le sale.
 

 
ARLECCHINO
       Arlecchino è un bambino non cresciuto
né del tutto contento d’esser nato
ma disposto a farsene una ragione
senza frignare né chiedere aiuto
o scusa, da perfetto mascalzone,
sicuro di non esser condannato
davanti al tribunale del creato.
Appena licenziato dal padrone
ha passato un momento disgraziato:
il poveretto se ne stava muto,
triste e sbandato, da vero coglione,
come se il mondo gli fosse caduto
addosso con malevola intenzione.
Poi s’è guardato attorno ed ha veduto
che, senza moglie e figli, abitazione
e stato, si trovava liberato,
e un giorno, di passaggio a Racalmuto,
proprio davanti al nostro cartellone,
di colpo, con sollievo ha realizzato
d’esser dal lato aperto dell’imbuto.
 
 
Tutti i disegni sono di Aldo Spoldi

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