10/02/22

Svogliato

 


Celati nella Prefazione ai racconti di Delfini scrive:
“Nei Diari c’è scritto: “L’occidente ha perso il senso dell’ozio. Fra le tante cose ch’è difficile fare, l’ozio, in occidente, è diventata la più difficile” (p. 143). Gli svogliati sono animali assurdi nell’era della volontà utilitaristica intesa come bene assoluto, o base del profitto. Perché negli svogliati c’è una stanchezza di questa volontà di fare ad ogni costo – la volontà di fare qualcosa, che diventa l’obbligo di fare qualcosa, travestito con tutte le maschere della necessità.”
 
Fare per fare, come se non si facesse niente, come se quello che si fa potesse benissimo essere altro, eppure che va bene così. Senza che diventi compimento, opera, traguardo. Senza competere, o performare, ma anche senza che questo distogliersi sia un rifiuto o una fuga, e nemmeno una semplice opposizione, un diverso conflitto. Che sia come è perché è come è, e basta.
 
Ps. di due giorni dopo
Per tornare a questo post e ai suoi graditissimi apprezzamenti e commenti, a me pare che, almeno per quanto concerne la mia parte (che sarebbe tutta quella dopo la citazione), c'è stato un piccolo equivoco di poca importanza. Cioè che io mica difendevo l'ozio. Sono bergamasco figlio di gente che ha lavorato tutta la vita 12 e più ore al giorno (motto di famiglia: sóta a laurà) e anch'io nel mio piccolo mica scherzo. E non mi lamento. Anzi mi piace. Ho questa deformazione. Era il fare senza finalità. Il fare non utilitaristico. Il fare che è tutto sempre un fare qualcosa anche quando non si fa niente, ma sempre, soprattutto, che non sia per forza, e anzi il meno possibile, un fare in vista di...
Tutto qui.
Che però anche l'ozio ci sta dentro. E bene. Con tutte le sue belle sfumature. Compreso il fare del sognare e del fantasticare e del masticare un filo di paglia e guardare le onde e le nuvole. Ecco, grazie.
E felice di tutti i commenti, lo ribadisco. Anche di quelli che verranno, o non verranno, ora.
E buona serata. Tra un po' chiudo, perché dopo cena, a furia di non fare niente, crollo.
 
 

Ps. 1 aprile 2022

E oggi, per completare il terzetto, ho (ri)trovato questa citazione di Kafka (un appunto del 1920) che avevo completamente dimenticato. La aggiungo senza commento. Non ha bisogno.

 

“Inchiodare una tavola con mestiere paziente e minuzioso e nello stesso tempo non far nulla, e non già che si possa dire: “Per lui inchiodare è nulla”, ma “Per lui inchiodare è un vero inchiodare e nello stesso tempo un nulla”, per cui anzi l’inchiodare sarebbe diventato ancora più audace, ancora più deciso, ancora più reale, e, se vuoi, ancora più folle.”

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