02/04/14

Quello che ho imparato dalla visita alla Cappella Scrovegni (attenzione: dalla visita, non dalla Cappella)


Sono stato a Padova per presentare il mio romanzo Tempesta (10 persone, tutte incantevoli e, mi sembra, incantate: molto bene!) e ne ho approfittato per tornare a vedere Giotto e Musei.
Alla Cappella Scrovegni era la quarta volta che andavo: due in epoche antiche (anni '80 e '90) e una lo scorso anno.
Sono arrivato alla biglietteria degli Eremitani a un quarto alle 10: ho fatto il biglietto per Cappella Scrovegni e Musei (13 euro) e poi pagato i 3 euro di supplemento per le mostre su "Guariento e la Padova Carrarese" sparse in città. Il bigliettaio mi ha detto di correre subito agli Scrovegni perché mi aveva inserito nel turno delle 10. Sapevo dall'ultima volta com'è la trafila e mi sono affrettato per non saltare il turno. Nonostante questo, sono arrivato che avevano appena chiuso la porta. Ho fatto segno, ma non c'è stato verso di entrare. Per fortuna non si era ancora messo a piovere, così mi sono seduto su una panchina lì fuori a leggere. Quando attraverso le vetrate ho visto che la gente all'interno si stava muovendo, mi sono portato all'ingresso  e  sono entrato nel locale di quarantena davanti a un televisore che trasmetteva in loop un documentario sugli affreschi e spiegava anche il restauro giustificando tutto il cerimoniale dell'attesa e della visita. Essendomi già pappato il filmato l'anno scorso, mi sono rincantucciato su una poltroncina dell'ultima fila e ho continuato a leggere con la musica negli auricolari x non farmi distrarre. Dopo un po' i nostri predecessori sono sbucati dal corridoio che introduce alla Cappella e in un paio di minuti è entrato il mio gruppo, una dozzina di persone.
Conosco bene la Cappella, anche per aver letto dei libri e visto filmati dettagliati e riproduzioni molto accurate, però l'impatto è sempre un colpo! Per non parlare dello starci dentro! Infatti non ne parlerò.
Appena entrato sono stato attratto dall'Ultima Cena, alla mia sinistra: ho guardato per un po' la disposizione degli apostoli attorno al tavolo e nello spazio architettonico, poi mi sono voltato e mi sono accorto, per la prima volta, che la Pentecoste era proprio di fronte, e che gli apostoli nel frattempo non si erano cambiati d'abito (50 giorni! Chissà se lo avevano lavato? Magari era l'unico che avevano... o era l'abito della festa, come si diceva dalle mie parti una volta, quando in genere uno aveva solo un abito bello che doveva durare più o meno tutta la vita) e che persino la diposizione attorno al tavolo era variata di poco, in particolare quella che mi interessava (non dirò quale né perché). L'architettura del Cenacolo invece un poco aveva subito delle modificazioni: un giorno o l'altro qualcuno me ne chiarirà il motivo. Sempre che il Cenacolo dell'arrivo dello Spirito Santo sia stato lo stesso dell'Ultima Cena. Certo che uno potrebbe anche dire che dopo l'Ultima Cena niente resta esattamente lo stesso, e figuriamoci poi all'arrivo fiammeggiante dello Spirito Santo in persona! Ho preso un veloce appunto di quello che ho notato (senza queste ultime sciocchezze) e sono andato dritto filato verso il Giudizio Universale sulla parete di fondo per verificare una cosa. Sì, era come pensavo. Non ho fatto in tempo a appuntarmi anche questo (3 righe) che il custode ci ha pregati di uscire. Come uscire?
Bisogna lasciare il posto alla prossima infornata. Posso restare anche per il prossimo giro?, chiedo al custode. Non sono tanti, uno in più non cambia. Niente, non posso, mi fa rammaricato. Gli spiace ma le disposizioni sono queste. Sembra sincero (il che non cambia nulla ai fatti però). Non sono l'unico a lamentarsi. Mi consiglia di scrivere all'autorità preposta. Un consiglio che mi daranno anche più tardi, per una circostanza diversa. Ne parlerò altrove.
Guardo l'orologio: la visita è durata 13 minuti (come gli euro del biglietto). In questo frangente ho osservato due scene (e solo per quei particolari che mi interessavano) e dei dettagli di un'altra. Non ho visto come si sono comportati gli altri turisti. L'ultima volta c'era una ragazza che spiegava un po' a chi lo desiderava, o quantomeno dava alcune informazioni storiche e iconografiche: stavolta niente. Non so, forse è un bene; io non ero stato ad ascoltarla, ma mica tutti i visitatori si sono studiati gli affreschi per i fatti loro. Cosa avranno visto gli altri? In 13 minuti uno al massimo guarda un paio di cose e, se è ricettivo, per il resto si lascia impregnare dall'ambiente. Dai colori dominanti, da un vago senso spaziale. Nella cappella hanno ristretto anche lo spazio deambulatorio, così che uno non può avvicinarsi più di tanto alle pareti. Deve stare attento a come si muove, camminare al centro, con un occhio al flusso degli altri visitatori. Se vuole alzare la testa senza intralciare chi invece si sta spostando, deve accostarsi alle transenne e starsene lì immobile, roteando collo e sguardo secondo le capacità. Le mie per esempio sono scarse (è da un po' che non vado dal fisioterapista). Tenendo conto del percorso e degli sguardi panoramici complessivi, del tempo perso per adocchiare dettagli o figure minori, come le allegorie o gli scorci prospettici, per ogni scena restano in media 15 secondi al massimo. Alla fine non hai visto un fico secco; se va bene te ne esci imbevuto di una vaga atmosfera a cui per comodità (e per non sentirti un cretino, o per non incazzarti), dai il nome di Giotto. Nemmeno imbevuto: una leggera spolveratina, una vaporizzazione che si dissolve ancora prima di essere uscito.
Arrivato all'aperto ti guardi attorno un po' confuso. Cosa mi è successo?, ti chiedi con la testa che gira. I tuoi compagni di avventura si stanno disperdendo nel parco. Ti siedi sulla prima panchina disponibile e hai la certezza che tutta la tua vita è andata esattamente così.

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