04/08/14

Quelli che restano (primi anni '90)


Capita talvolta di vedere in riprese televisive effettuate per strada o durante manifestazioni di vario genere, e comunque non in studio o in teatri di posa, qualcuno che, appena inquadrano la zona in cui si trova, esce di soppiatto dall’immagine, o, passeggiando, di imbattersi in altri che, alla vista di qualcuno con la macchina fotografica, fosse pure un innocuo turista, gli voltano subito le spalle, ma non in maniera clamorosa, e neppure con gesto furtivo: spontaneamente, come se quello fosse l’esito scontato di un movimento già in atto.
Gente che non vuole essere notata e, più ancora, vista. Ma possiamo anche immaginare queste persone presenti in tutti i luoghi dove c’è folla, e magari anche una folla che proprio in quel momento sta per essere ripresa o ritratta: non fuggono né si voltano, ma si mimetizzano talmente bene tra gli altri da scomparire all’istante, dissolti tra i tanti proprio evitando manifestazioni, gesti o segnali marcati. Pur non essendo come gli altri, non vogliono differenziarsene, e quindi, invece di evitare di compiere gli stessi gesti, che forse gli ripugnano, fanno le loro identiche cose o assumono uno dei tanti atteggiamenti compatibili con l’ampia varietà dei comportamenti naturalmente prevedibili in ogni moltitudine, come accendere una sigaretta, ascoltare discorsi o guardare i monumenti che nelle nostre belle contrade non mancano mai.
Gente che assolutamente non vuole essere notata, che non si impegna che a scomparire e mette tutto il suo essere nel non venir trovata, ma senza che nessuno la cerchi; gente che non si fa trovare non facendo sorgere a nessuno nemmeno l’idea, nemmeno per sbaglio, di cercarla, al contrario di quelli che fuggono non per separarsi da coloro che li circondano, ma per offrire loro un’ultima occasione per cercarli davvero e a se stessi di essere finalmente (ri)trovati, non per recidere legami che si erano allentati quindi, ma per sperimentare se è possibile tornare a stringerli, più forti di prima, quando non annodarli per la prima volta. Vivono a casa propria, si prendono cura dei famigliari, non trascurano gli amici e tutte le mattine si recano puntuali al posto di lavoro. A volte passeggiano da soli, si mescolano ai tifosi dello stadio o fanno compere in centro. In certi casi incocciano qualcuno con la telecamera o la macchina fotografica.
Non meno misteriosi di quelli che partono sono quelli che restano.
 

3 commenti:

  1. gli omologati, li chiamo io. amano l'understatement e hanno temperamenti riflessivi se non contemplativi... bravo Luigi

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. Grazie Chiara. Ma io non li chiamerei omologati. Lo sono solo apparentemente. Gli omologati per me sono quelli che la foto se la fanno fare e sorridono. (Solo una questione terminologica forse...)

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