12/02/17

I MORTI E IL CAMMINARE



Cammino sui morti. Tutta la terra qui intorno è solo morti, e più in là, ovunque. Li sento sotto le scarpe che urtano, si muovono, mi fanno sobbalzare, mi aggrediscono, così che non posso mai arrestarmi e riposare. Cammino, di giorno e soprattutto di notte, perché la notte, in quel suo povero silenzio di gente chiusa in casa che finge di dormire e in realtà trattiene il fiato impaurita, non sentirli è impossibile: sono loro l'incessante rumore della notte, quello che l'udito si esercita da millenni a non udire fino quasi a riuscirci, quello che altrimenti attribuiscono alle fabbriche e alla città lontana. Ma quali fabbriche? quale città? Riempiono la notte di rumori arbitrari e fasulli per non sentire quello dei morti che si agitano. Ma io li sento, di giorno e di notte ancora più chiari, e non mi resta che camminare. Miliardi e miliardi di erbe e di piante con la loro debole anima, miliardi di insetti, di animali e soprattutto di uomini: uomini morti è la terra che calpesto. Dovrei abitare all'ultimo piano di un palazzo del marmo più lucido e duro, o meglio di cristallo se sapessero cos'è il vero cristallo, e invece mi hanno inflitto questa camera incastrata nella terra,quasi tutta sepolta nella terra, in questa casa fatta di questa stessa terra che è fatta di morti.
Cammino tutta la notte su questa piazzetta che costeggia la strada dalla quale arriveranno i camion che trasportano il cristallo per la mia vera casa, l'altissima casa di cristallo che costruirò per potermi fermare a riposare e finalmente a vivere: una sfera sopra uno stelo piantato in un cubo immenso tutto di cristallo. Tutta la notte avanti e indietro sul selciato intollerabile di questa piazzetta a spiare il diverso rumore, il rumore vero, dei miei camion che devono arrivare. Li sento da lontano, sento il loro vero rumore che avanza tranquillo e inconfondibile come l'unico canto possibile tra il rumore dei morti e gli altri rumori e falsi canti che servono solo a coprirlo senza riuscirci; lo sento, e poi d'un tratto più nulla. E poi subito, dopo un intervallo infinitesimale che io solo so percepire, di nuovo rumore di camion, ma non più dei miei: gargarismi mimetici di falsi camion che si avvicinano e mi passano accanto arroganti senza fermarsi, alcuni solo fingendo di frenare per la ridicola curva che precede la piazzetta, come a volermi irridere illudendomi, illudendo me che da molto avevo capito e li avevo dimenticati. Passano e se ne vanno, solitari o a gruppi come un'orda onnipotente, e in realtà per proteggersi a vicenda, per dissimulare la loro debolezza essenziale.
Cammino per ore e ore fino alla prima luce con l'orecchio più puro teso all'ascolto, fumando sigarette su sigarette, le peggiori, quelle che non fuma nessuno e che mi regalano con la torbida pietà di chi vuole solo ammansire. Di giorno è inteso che non verranno, non ci devono scoprire prima che tutto sia finito e quindi indistruttibile. Farò tutto in una notte. Una notte è lunghissima, non finisce mai, quindi una notte basta. Nessuno deve accorgersene, nessuno deve saperlo, eppure ci sono dei giovanotti che vengono certe sere, sul tardi, quando non c'è più nessuno in giro, solo le scie della paura della gente fuggita nelle sue tane, mi parlano delle loro avventure (ma quali avventure?) e tra un discorso e l'altro, come distratti, cercando di soffocare il misero sarcasmo di cui soltanto sono capaci e alcuni un fondo infetto di umanità mortale, mi chiedono della mia casa. Non è una casa, dico loro per sviarli con una menzogna molto vicina alla realtà, di solito la più efficace: non è una casa, è un ponte che sorvolerà altissimo tutto questo paese di cui siete gli stupidi prigionieri, secondini di voi stessi, la strada eccelsa per uscirne; ma loro continuano a chiedermi della casa offrendomi le sigarette migliori, che io accetto per non tradirmi e perché mi piacciono anche se non ignoro di cosa sono fatte. A cosa serve un ponte se tutta la terra anche fuori del paese è solo morti? Un ponte lunghissimo servirebbe, tanto lungo da non poterlo percorrere tutto prima di morire, una fascia tutto attorno al pianeta su cui trasportare la terra e i morti che muoiono e moriranno ancora, fino a liberare il nucleo di cristallo che sta sotto e che i morti hanno coperto morendo a cominciare dal primo essere, dal primissimo che c'è stato e che per aver voluto essere è morto.


Cammino su questa terra dove ora sequestrando i miei camion mi impediscono di costruire come prima ostacolavano i miei scavi. Hanno inzuppato la terra di acqua, sotto, per far marcire i morti vecchi, come se servissero a qualcosa, e non permettere a nessuno di scavare fino in fondo. Ogni volta che ho scavato mi hanno fatto trovare l'acqua, acqua in quantità enorme, inspiegabile, per potermi dire: smetti di scavare, è inutile, anneghi, c'è sotto solo acqua, dappertutto. Per prendere le arie degli amici affettuosi che intendono proteggerti mentre proteggono solo se stessi. Ma io lo so benissimo che ci sono dei posti dove sotto l'acqua non c'è, e che c'è qualcuno che al cristallo ci arriva, ma se lo tiene ben stretto, si fa le case per sé, e gli altri via lontano. Solo che quello non è il vero cristallo, io quelle case le ho viste, ignare quanto presuntuose, e sono scoppiato a ridere: non è il vero cristallo quello! è ancora e solo terra, terra lucida e trasparente che sembra cristallo. Il cristallo vero c'è solo una persona che lo ha trovato, che è stato capace di raggiungerlo perché se lo era meritato, e questa persona io la conosco, è il mio amico del cuore che mi ha promesso di mandarmelo perché io sono il suo amico del cuore, l'unico che ha capito insieme a lui. Noi due sappiamo, sappiamo distinguere. Mi ha giurato che mi manderà i camion tutte le notti finché qualcuno non sarà riuscito a raggiungermi. Ma finora nessuno ce l'ha fatta. Ogni notte, uno ogni ora dal primo buio, partono i meravigliosi convogli, ma loro li fermano, gli fanno sbagliare strada, li sequestrano senza nemmeno sapere cosa stanno sequestrando, qualcosa che non gli interessa e che quindi si limitano a frantumare e a gettare qua e là per la campagna senza sospettare che così piano piano si formeranno delle isole e che queste isole piano piano si ricongiungeranno l'un l'altra coprendo tutta la terra dei morti che finiranno così col non avere più spazio, i morti e coloro che devono morire perché accettano di vivere volendo vivere nel modo della morte, coll'ostacolare inconsapevolmente la propria crescita e coll'eliminarsi da sé. Combattendoci lavorano per noi: è la nostra rivincita. Chissà quanto tempo ci vorrà però...
Io, nel frattempo, cammino, sono costretto a camminare senza poter dormire nè riposare, sigaretta schifosa dopo sigaretta schifosa, per l'inconsistente sollievo di uno schifo diverso, perché i miei camion tardano ad arrivare, col terrore che non facciano in tempo, che le mie suole si consumino, che la terra dei morti mi raggiunga e mi assimili prima che io possa veramente vivere. Ma le mie suole non si consumeranno, contrariamente a quanto credono loro fino quasi a contagiarmi quando sono sfinito inoculandomi lo sconforto impalpabile che muove ogni loro gesto, loro che non fanno altro che erigere incuranti la propria tomba chiamandola coi nomi più diversi, alta ormai fino a impregnare di morte tutta l'atmosfera e oltre; le mie suole non si consumeranno perché non solo il cristallo io l'ho veramente visto, ma il mio amico del cuore me ne ha dato due pezzi, due pezzi piccoli che nessuno avrebbe notato, due frammenti perfetti, eterni, da cui ho tratto queste suole che sono la mia unica difesa.



1 commento:

  1. mi accorgo solo ora che "Cosa dicono i morti" ha una forte carica di enigmaticità, forse perché il testo qui pubblicato è un estratto o forse perché corredato da immagini

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