24/07/18

Saluta i vecchietti!


 
Sono a passeggio con A., di ritorno dalla visita periodica al "nostro" orto per verificare come procedono i lavori di fine inverno. La nuova stagione è alle porte, mica vorremo farci trovare impreparati! L'orto è nostro nel senso che l'abbiamo adottato: già ci piaceva e ci fermavamo a ammirarlo ad ogni passaggio, con ampi apprezzamenti anche per le galline razzolanti, le capre nel prato contiguo, l'ordine della legna accatastata, la pulizia del vialetto, la cura degli attrezzi, senza dimenticare la maestà del concime accumulato pudicamente dietro un muro e visibile solo una volta entrati (semi-illegalmente, perché dovrebbe essere proprietà privata: del prete però) nel vialetto dell'aglio selvatico, da cui parte anche una ripida discesa verso il fiume lungo la riva traforata di grotte (una abitata da una Madonna piuttosto ritrosa; scontrosa o timida, non saprei: appartata e solitaria comunque); ma poi abbiamo anche conosciuto il contadino, che ci ha informati sulla sorte dei prodotti, non in vendita come speravamo perché tutti riservati alla famiglia allargata, sui metodi di lavoro rigorosamente biologici che hanno incantato A., che sull'argomento è un oltranzista (io me ne frego: per me l'orto ha una valenza estetica prima che etica: mi incanta e commuove; lo ammiro come una forma di auto-organizzazione della terra, una geometria spontanea di cui l'uomo è solo uno strumento la cui fatica è irrilevante anche per lui, e anche per lui leggera e gloriosa) e che da allora ci saluta sempre e talvolta arresta persino il lavoro per scambiare qualche parola con noi, mentre A. accarezza il cane che lo ha subito adorato: e tanto è bastato perché l'orto fosse ufficialmente anche nostro. Il nostro bambino di pensionati in cammino. Io, che non ne ho; A. che invece ne ha due, e ora anche una nipotina, bellissima e dal nome bellissimo: Irene. 


 
Sì, ma non era di questo che volevo parlare... Riprendo il filo: abbiamo da poco lasciato il vialetto dell'aglio selvatico ancora non fiorito eppure già profumato, e l'orto dissodato ma vuoto, e il cane che prende il sole in mezzo alla strada chiusa, e stiamo camminando sulla pista ciclopedonale; A. dice qualcosa che richiede solo il 37% della mia attenzione e io dissipo il resto nello spazio circostante, un po' su tutto, senza preferenze. Et vive la démocratie! 

 

A un certo punto sorpassiamo un signore che spinge una carrozzina al cui bordo si sostiene, con la manina destra, un bimbo di un anno e mezzo circa. Siccome occupano quasi tutta la pista, chiediamo permesso e io non mi esimo dal dire una battuta affettuosa (immagino) a cui il signore, un bell'uomo vicino alla cinquantina, risponde con stringata cortesia. Salutiamo il signore e il bel bambino, e mentre rallentiamo per la manovra, il bimbo alza di scatto il braccino e mi afferra l'indice destro al volo; e subito riprende a camminare spedito, sorreggendosi a me, che lo assecondo e mi sorreggo a lui con lo spirito, per un bel pezzo. Nello scambio ci guadagno io, ma non me ne vergogno. L'infanzia è tutta gratis. Si dissipa così, finché può. Finché non lo sa. Poi glielo fanno notare, e è finita. Come se non ne avessero più. Va be'...
La presa al mio dito rinforza anche il legame momentaneo del gruppo e quindi è giocoforza rivolgere di nuovo la parola al signore, che potrebbe essere un nonno giovane; e invece no: è il papà. Un papà non più giovane che ha sposato una cubana. Giovane. Ne veniamo informati quando io faccio un cenno alle doti atletiche dell’infante che mi sta trascinando in una deriva caracollante ma speditissima ("ha preso tutto da papà") e, riferendomi alla quasi coetanea Irene a cui il nonno sta già dando le prime lezioni di valzer e fox, alla danza: fra un po’ anche il pargolo sarà un eccellente ballerino, avendo la mamma cubana. Cubana e ballerina. Ballerina perché cubana. Ballerina cubana. Il dna! Io per esempio avevo i genitori molto intelligenti.
A. lo trascina allora in un discorso sul ballo: disquisiscono sui latinoamericani, di cui uno è dotto, l’altro meno (però eccelle nel liscio classico). Io presto al discorso il 17,5 % della mia attenzione, specie quando entrano in dettagli troppo tecnici per la mia blanda vocazione tersicorea, concentrato (e felice) come sono sulla manina attorno al mio indice, stretta stretta. Inutile negarlo: sono orgoglioso, oltre che estasiato, della fiducia istintiva che l’innocente sta dimostrando per me (non capisco perché, dal momento che non amo particolarmente i bambini e evito accuratamente moine e smancerie: mentre in genere a loro io piaccio, magari proprio per quello; boh, non capisco e non mi interessa capire). Anche se forse, alla fin fine, sono solo un sostegno come un altro. (Però mi sorride. Non fa che sorridermi.) Ho fretta, ma non faccio niente per liberarmene. Lui stringe ancora più forte e così mi cattura (mi stringe) sempre di più, e io lascio che si continui così fino al ponte, dove le nostre strade si dividono. Il padre allora gli prende la manina e con una leggera pressione mi scioglie dalla presa. Io assisto senza assecondare né resistere. Il bimbo alla fine si stacca, ma il musetto si imbroncia, il labbro trema e, mentre noi siamo già a qualche metro, abbozza un pianto. E’ in quel momento che mi sembra di sentire il padre che, presolo in braccio, gli sussurra: "su, dai, non piangere, vedrai che un altro dito lo troviamo ancora... saluta i vecchietti!"

aprile 2012

 

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