21/11/18

Una cosa strana che mi è capitata ieri sera. Giuro che è vero.



 Ero stufo di guardare la televisione e mi stavo addormentando. Ma era molto presto e temevo che se fossi andato a letto subito, poi mi sarei svegliato ancor prima del solito e quindi ho spento la tele e invece di restare a leggere sulla poltrona, sono andato in studio, sulla sedia del mio tavolo di lavoro, scomodissima, e quindi garanzia certissima di risveglio. C’è da dire che recentemente ho notato che quando il sonno comincia a calare su di me, che sia l’età o altro, lo fa proprio alla lettera, come un torpore progressivo che parte dalla testa e si estende alle spalle, avvolgendomi come una guaina morbida ma pesante, e da lì alle braccia e al resto del corpo, fino a che non resisto e, nonostante l’ostruzionismo che imbastisco in bagno per contrastarlo e rinviarlo protraendo il cerimoniale il più a lungo possibile, devo andare a letto, dove dopo la lettura di due o tre pagine al massimo, concessemi dalle manovre in bagno, in particolare l’energica pulizia dei denti e il risciacquo con acqua gelida, devo chiudere insieme il libro e gli occhi. Ieri sera però non erano ancora le dieci e mezza, il che significava che mi sarei svegliato tra le quattro e le cinque, che francamente è un po’ troppo presto anche per uno mattiniero come me. (Interessanti tutte queste informazioni, vero?) Così sono andato in studio e ho ripreso la lettura del magnifico e terribile Il morto nel Bunker di Martin Pollack, che confidavo di terminare in giornata, impedito invece da una serie mirabolante di piccole urgenze e altre sciocchezze e scuse. Ho acceso la lampada e aperto il libro tra la pila di stampati da editare e le cartelle con gli appunti per le prossime cose che dovrei scrivere, insisto sul “dovrei”, a destra del pc, e due libri di amici (Così chiamò l'eterno, di Guia Risari e Furto d'anima, di Lucetta Frisa e Marco Ercolani) che mi erano arrivati in giornata alla loro sinistra, e intanto armeggiavo per togliermi l’orologio e slacciare i bottoni del colletto della camicia, perché, come tutti gli indolenti e accidiosi, quando mi decido a fare qualcosa, ne devo fare contemporaneamente almeno altre due, riuscendo male in tutte ovviamente. Così, invece di tenere aperto io le pagine del romanzo, ho appoggiato per la lunghezza sulle pagine di sinistra il cartoncino segnalibri di una biblioteca, confidando che le tenesse ferme e mi lasciasse le mani libere per le altre mie encomiabili iniziative. Invece quel bastardo, non certo per colpa sua, continuava a scivolare via lasciando che la pagina che stavo leggendo di sguincio si chiudesse. Al che, invece di smetterla di armeggiare come un cretino e leggere come si deve, spostavo di nuovo il segnalibro nella posizione precedente, sperando ogni volta che fosse quella buona e le pagine la smettessero di volersi chiudere facendolo scivolar via. Alla quinta o sesta volta ho premuto con maggior forza passando la mano su tutta la pagina per convincere anche lei, continuando a leggere senza controllare quello facevo se non con la coda dell’occhio. E’ stato così che mi è parso di veder scivolare il segnalibro come in una piccolissima fessura buia e lì scomparire. Ho leggiucchiato ancora qualche secondo, finché la parte del mio cervello che aveva registrato l’evento ha suonato il campanello d’allarme e mi ha costretto a interrompere la lettura. Pensa te se devo darla vinta a un segnalibro! Ho allungato la mano tra la pila di fogli e carte e i due libri degli amici, ma il cartoncino non c’era. Solo allora anche la piccolissima fessura di buio in cui mi era sembrato che fosse scomparso mi è tornata chiara alla mente e ho rivisto, perfettamente a fuoco, al rallentatore e al contempo velocissimo il momento della scomparsa. Quel margine di spazio che non era il mio, che si era aperto per accogliere la fuga del segnalibro, o inghiottirlo, mettetela come preferite, per immediatamente richiudersi ripristinando il piano della scrivania senza slabbrature o cicatrici a segnalarne l’avvento e l’immediata sparizione. Possibile? Ho guardato per terra nel caso il segnalibro fosse caduto lì. Non c’era. Allora ho alzato, spostato e sfogliato i libri. Niente. Lo stesso ho fatto con tutte le bozze, le cartellette e i ritagli e i foglietti volanti di appunti che stavano sotto il libro di Pollack. Idem. Ho sfogliato anche il libro più volte. Niente nemmeno lì. Ho guardato, per quanto l’ipotesi fosse inverosimile (ma a questo punto…) anche sotto il pc, da cui il cartoncino distava due spanne, e che peraltro avrebbe dovuto raggiungere superando, non so in virtù di quale forza o spinta, l’asperità delle suddette bozze e cartellette. Figurarsi se era lì. Mi sono persino chiesto se non mi fossi sognato di tenere un segnalibro nel romanzo. Certo che lo tenevo! Ho sempre qualcosa nei libri che leggo, anche se di solito sono foglietti per eventuali appunti, ma non in questo caso, perché sono sicuro che ci avevo messo, e tolto e rimesso, e tolto e rimesso, un segnalibro come quello della foto (ma non quello), ogni volta che avevo letto qualche pagina nei tre giorni precedenti. Sono tornato in salotto dove avevo tenuto il libro fino a poco prima per controllare se l’avevo lasciato lì, pensando però che era una stupidaggine dal momento che avevo spostato il cartoncino più volte per tenere aperte le pagine. Andiamo lo stesso, dai. E ci sono andato. Niente. Ho ispezionato il pavimento dello studio con la pila più volte, con lo stesso risultato. Non è possibile che mi perda per una scemenza del genere, mi dicevo intanto. Non è uno di quei risaputi raccontini dove l’incongruo sbatte le ciglia per un attimo e subito si richiude. Lasciando qualche minima traccia del suo passaggio tuttavia: è la regola. No, qui non c’era nessuna traccia: solo quella mnestica, la linea nera, sottilissima in cui è sprofondato il segnalibro, e che si è chiusa senza lasciare resti. Non c’era niente di niente. Inutile insistere. Sono andato in bagno e poi a letto senza leggere nient’altro. Mi sono addormentato subito. Alle quattro e mezza ero sveglio. Qualche sogno devo averlo fatto. Ma parlava d’altro.

(Secondo me, se il sovrannaturale aveva intenzione di palesarsi, poteva trovare un altro modo. Gente ridicola!)

 

1 commento:

  1. capita, capita. altroché! La cosa che ti farà più rabbia è quando riapparirà a suo piacimento laddove sei sicuro di non averlo mai potuto mettere. Eppure sarà proprio lì che si farà ritrovare.

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