19/01/19

Achille muore (Achilleide - appunti 3).


Togli la poesia e il sapere antico e questo è quello che rimane. Storie nude, semplificate, viste da lontano. Da un fuori che ignora, e che si ignora. Che ignora di essere un fuori e ignora che cosa mai esso stesso sia, da dove parla e in base a cosa. Ironico e saccente, eppure forse con una capacità di poesia esso pure. Dall’incanto che nasce proprio dall’ignoranza di se stesso. Dal proprio punto cieco. Dove uno pensa di essere nella luce della piena comprensione sfrondata di tutti gli orpelli e non vede il buio su cui poggia, lì comincia a parlare. In quel luogo ignorato, senza corpo e definizione, lì comincia a aver luogo la sua parola. Il che significa che chi in-canta è sempre cieco. E’ sempre Omero. Tutta roba risaputa. Scontata, e quindi a sua volta poco vista, presto dimenticata.

Non si hanno molte notizie delle ultime parole di Achille. Se mai quell’uomo di grandi emozioni e poche parole, belluino, di grida pianti e urla, qualcosa ha detto. La sua morte fu narrata a posteriori, per sentito dire. Inventata, e solo da lì descritta. Il tallone trapassato dalla freccia è lo stesso a cui si narra che sia stato appeso, infilzato, dal pastore che avrebbe dovuto ucciderlo il piccolo Edipo, che da lì ne avrebbe derivato la zoppia? Esiste una storia comparata del tallone? O era il tendine? 

E’ probabile che quando fu colpito, Achille ammutolì dallo stupore di veder realizzata una profezia a cui non aveva mai creduto. E che anzi aveva apertamente sfidato lasciando proprio quell'unica parte del corpo scoperta, non protetta dall’armatura.
Altri dicono che non morì in quel modo stupido, ma in un altro più stupido ancora, perché simile a quello di tutti. Allora, di fronte a questa a suo modo sconvolgente banalità, qualcuno inventò la storia dell’immersione nello Stige e dell’invulnerabilità, e poi della profezia e del suo compimento. E poiché a noi piacciono le storie, e gli eroi non possono essere banali, ricordiamo solo quella.


C’è anche chi dice, però, che Achille, come Elena che avrebbe passato il tempo della guerra di Troia nascosta in Egitto, non si sia mai allontanato dal gineceo dove era piacevolmente nascosto. Dicono infatti che all’arrivo di Ulisse preceduto dalla sua fama di imbroglione matricolato, Teti abbia consigliato il figlio di prendersi una vacanza e abbia messo al suo posto nel gineceo un giovane cortigiano felicissimo dell’occasione propostagli. Sarebbe stato costui, opportunamente istruito e convinto da molte belle promesse e da una sola, ma decisiva, minaccia, a farsi “scoprire” come Achille, partendo poi verso Troia con il furbo gabbato, come è normale che prima o poi siano tutti i furbi, dove per tenere alto il nome usurpato e meritarsi tutti i conseguenti onori, si sarebbe comportato come tutti si aspettavano dall’Achille vero, uccidendo e morendo al suo posto, mentre questi avrebbe passato tutta la sua vita negli agi di corte fino a tardissima età, mai sazio delle gioie della vita, eroe della felicità.
Non manca nemmeno chi sussurra che, grazie alla madre e alla speciale benevolenza che con le sue attrattive si sarebbe guadagnata dal padre degli dei, egli vive ancora, spostandosi di qua e di là tra i suoi possedimenti, mondani eterei e marini, annoiando immancabilmente i suoi ospiti, a ciascuno degli innumerevoli banchetti a cui sono cooptati perché odia cenare da solo, raccontando con sempre nuovi dettagli le imprese che quell’altro ha compiuto per conto suo in gioventù e che le leggende che ne sono nate non hanno fatto che moltiplicare e amplificare, germogliando in innumerevoli meravigliosi canti che alla fine hanno giustificato la morte di quell’altro anonimo poveraccio e la sua vita di infinito scioperato.
Nonché la nostra di avidi mangiatori di storie.

Dicono anche che il nostro eroe viva per sempre su un’isola alle foci di un grande fiume (l’Isola Bianca alle foci del Danubio, ma non stiamo a sottilizzare), in compagnia della sposa che non aveva fatto in tempo ad avere subito, essendo giunto in ritardo al convegno dei pretendenti: la più bella delle donne come lui era il più gagliardo e appetibile degli uomini, Elena, che alla fine lo raggiunge per non separarsi più da lui, finché la morte non li separerà (almeno stavolta, si spera…): morte da cui gli dei li avranno peraltro dispensati, non si sa se per infinita benevolenza o per infinità, duplice, perfidia.




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