19/10/20

La tomba dell’immortale

 


Quando molti anni fa, assieme al mio amico Lucio Klobas, dopo aver abbandonato la mia classe di maturandi (tutti maggiorenni) a girovagare in centro con altri colleghi, siamo andati al nuovo cimitero ebraico, al capolinea di una linea di metro in periferia, a rendere omaggio alla tomba di Kafka, mi sono sentito insieme oppresso dalla perdita e liberato da un dovere direi metafisico, assoluto, che altrimenti mi avrebbe avvelenato tutto il resto della vita, ma al contempo sono stato pervaso anche da un senso di stupore e di incredulità. Anche se le date e il luogo e i nomi dei famigliari e la lapide di Brod sul muro lì di fronte, mi certificavano che era tutto vero, che lì dove mi cedevano le ginocchia e mi veniva da piangere, era sepolto proprio lui, Franz Kafka, non riuscivo a farmi persuaso che fosse proprio così. Ma come è possibile?, mi dicevo. Gli immortali non muoiono, lo dice la parola stessa. Qui ci dev’essere sepolto un omonimo, o un simulacro, o addirittura nessuno. Stasera e le prossime girerò per tutta Praga, per i luoghi che frequentava ma anche a casaccio, alla mercé del destino, e sono sicuro che lo incontro, o quanto meno che ne percepirò la presenza, se da quel burlone timido che è, si rifiuterà di incrociarmi, di farsi anche solo intravvedere da lontano, di sfuggita, lui o la sua sagoma inconfondibile, limitandosi a lasciare qualche segno ambiguo qua e là, una traccia dubbia e però indubitabile. E infatti io e Lucio ne abbiamo trovate parecchie di papabili, lui più di me, essendo un fanatico conoscitore di tutti i dettagli dell’esistenza dell’autore di “Rinuncia!”, che poi abbiamo passato settimane, al ritorno, a vagliare, discutendo accanitamente fino quasi a far vacillare un’amicizia solidissima che durava da decenni.

Un immortale non muore, tomba o non tomba, con la sepoltura documentata o meno. Non ammetto dubbi. Penso per esempio alla tomba di Omero, visitabile in una dozzina di isole e città greche, ovviamente tutte false, tutte vuote, o che racchiudono un inquilino che non c’entra, un involontario parassita che si gode omaggi non suoi, fiori, lacrime, sospiri, recitazioni di versi in tutte le lingue, strazianti, per il significato e per la performance, ma tutti in qualche modo meritati, che vanno infallibilmente a segno, perché un immortale è di tutti, e quindi anche di questi scrocconi o santi che in suo onore hanno rinunciato in eterno alla propria identità, mentre lui, Omero, è ancora vivo e vegeto, e se ne va in giro per tutte le isole greche e sulle spiagge mediterranee, caraibiche o californiane, in bermuda e camicia hawaiana, la barba curatissima e i capelli appena appena lunghi, così che possa respirare il vento e intridersi dei suoi profumi, accompagnato dal ragazzino, seduto nelle terrazze di qualche bar, o sulle panchine in riva al mare, o nell’atrio di grandi hotel a chiacchierare con chiunque lo desideri, a farsi offrire l’aperitivo, o un birra, raccontando storie strampalate e crudeli, ma anche malinconiche e dolci, di eroi e altri esseri immortali come lui, inventati però di sana pianta, loro.

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