15/10/21

Moritz


E allora Moritz mi ha detto: Non avendo io nessuna facilità, e anzi essendo oppresso dall’incapacità, e forse dall’impotenza assoluta, di confidarmi con gli altri, qualsiasi altro, nessuno escluso, e di lasciarmi andare in un modo che qualsiasi persona almeno ogni tanto deve trovare o inventare se vuole conservare una minima sanità di mente e non lasciare che ogni cosa si depositi dentro, o ovunque trovi l’opportunità di insinuarsi e insediarsi, nei meandri più dannosi del corpo e della mente, per marcirvi e incancrenirsi, - o forse solo non avendo mai fatto uno sforzo in questa direzione o trovato circostanze favorevoli, magari per una qualche paura atavica, per un terrore innato se mai fossi riuscito a decidermi a provarci -, ho cercato per tempo, quasi automaticamente, in modo del tutto spontaneo, naturale, fin da ragazzino, per quel che ricordo con chiarezza, di compensare questa mia carenza, o reticenza o chiusura, e il vuoto da essa scavato, un vuoto a ben vedere profondissimo, sconfinato, con la predisposizione, che si è tramutata velocemente in una capacità, e addirittura in un’arte oserei dire, di ascoltare le confidenze degli altri, e di attirarle pur senza fare nessun per passo per sollecitarle, e di accoglierle senza che i confidenti si sentissero minacciati, in posizione subordinata e quindi di pericolo, da questa che è in fondo è una debolezza irrimediabile, anche se forse, contemporaneamente, è la forza più grande, il più grande coraggio e rifugio, la più luminosa risorsa, così che molti, per anni e anni, per decenni, hanno trovato naturale, presto o tardi, e alcuni fin da subito, la prima volta che ci siamo incontrati, parlarmi di sé a quel che si dice cuore aperto, che come è noto però sanguina sempre, è quasi sempre mortale, e raccontarmi le loro cose più intime, le loro pene più inconfessabili, dolorose e immarginabili, che però almeno la parola prova a lenire, se non proprio a cicatrizzare e guarire, e anche, cosa incredibile persino a pensarsi, le loro gioie più profonde e più vere, non quelle di facciata o di rappresentanza sociale, proprio le loro vere, segretissime felicità. Ma ora, da anni e anni, non è più così, le occasioni di incontrare questi famosi altri si sono diradate né io le ho più ricercate, come certo ricercate non le avevo mai, perché erano loro, quegli altri, a cercarmi, e quindi ora da una parte io, a volte, mi sento come un recipiente vuoto, pateticamente inutile (a tanta bassezza sono giunto!), e dall’altra come una cantina, una sentina, intasata di ogni sozzura, di tutte le innumerevoli cianfrusaglie dell’esistenza, delle scorie di tutti i giorni e giorni e giorni e giorni in cui nessuna parola mi è stata rivolta per davvero, né io l’ho rivolta, nessun dono mi è stato fatto, nessun ascolto mi ha conferito un po’ di vita perché confidarsi con me lo dava a qualcun altro rendendolo così possibile anche per me, ponendomi in tal modo in una posizione subordinata pur sembrando di superiorità, reso indifeso dalla mia forza, nell’unica fragilità che sia mai stato disposto ad accettare, e anzi ad accogliere con gioia, senza che questo, ancora, mi abbia mai convinto, o solo predisposto, indotto con moto naturale ad aprirmi, a dire veramente qualcosa di me, a quell’apertura che da parte mia non so definire diversamente che ripugnante…
E si è guardato intorno come smarrito e insieme furioso, posando infine gli occhi su di me con odio, anche se solo per un attimo, che è passato senza che poi sorridesse però, come è solito fare, lui e tanti in queste situazioni, senza quell’accenno di sorriso che è come una richiesta di accondiscendenza, una confessione definitiva di sconfitta.
Al che io ho fatto finta di non aver visto niente e gli ho detto: Sì, continua, ti ascolto.
 

 

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