26/11/23

Elio Grazioli, Album. L’arte contemporanea per sovrapposizioni

 


Elio è sempre stato bravo a disegnare. Quando facevo la prima media il prof di disegno ci aveva assegnato per le vacanze di Natale le stazioni della via crucis da disegnare a china, due per ogni foglio dell’album, se ricordo bene. Elio, che era in quarta elementare, mi ha aiutato eseguendone la metà. Io non ero male a disegnare, ma lui era già molto meglio, e se ho preso un buon voto il merito è stato tutto suo. Pensare che quello è stato l’apice della mia carriera di artista. Elio invece ha continuato, e da ragazzo si è messo a dipingere, e quando ha interrotto perché aveva intrapreso la carriera di critico, ha continuato a disegnare e a fare copie in acquarello in piccolo formato delle opere che amava. Poi non ne ho saputo più nulla, disegnare gli è rimasto come un’attività privata e segreta, anche come strumento di studio e di insegnamento certo, come modo di pensare, ma che teneva per sé. Ora questo fiume carsico è tornato alla luce in forma molto originale, e il risultato è un libro intitolato Album. L’arte contemporanea per sovrapposizioni edito da Johan&Levi, altrettanto originale, e profondo come le acque che l’hanno alimentato, personalissime. Tra tutti i libri di Elio non so se questo sia il più bello (non so giudicare: mi piacciono tutti), ma certo è quello più intimo, quello dove lo ritrovo meglio, e proprio per questo, secondo il mio gusto, il meglio scritto.

 

Libero da vincoli professionali e accademici, e allentando anche quelli autoimposti, in questo libro nato durante la reclusione del covid, Elio ha messo molto di sé, ma in modo che il lato soggettivo che ha lasciato emergere, più che espressione di scelte e gusti personali (anche: e il piacere di questo agire e pensare si vede e si trasmette al lettore), venga a configurarsi come un diverso modo di fare critica e teoria, scaturito proprio assecondando affinità, scelte, incontri casuali, predilezioni e consonanze e inclinazioni.

Si è venuto così a formare un peculiare metodo critico, non così arbitrario come potrebbe sembrare; ma se anche lo fosse non importa: dal momento che un metodo si misura dai suoi frutti, da quello che dà a vedere, dalle prospettive che inaugura per guardare alle cose più note, dai collegamenti che permette di instaurare, dalla telepatia che innesca facendo comunicare due, o tre, opere una accanto all’altra, o sopra, come qui. La sommessa proposta euristica che ne scaturisce però si dimostra efficace solo in quanto dà luogo a, o deriva da, un’opera a sé, quale Album indubbiamente è (pudica, mascherata, forse, ma presente: evidente per chi vuole osservare; e forte).

Diversamente “dalla citazione, dall’appropriazione, dalla decostruzione [e] dal pastiche”, frequentissimi nell’arte degli ultimi decenni, la procedura delle sovrapposizioni è stata poco usata: tra le scarse eccezioni ci sono Sigmar Polke, David Salle e, soprattutto, Francis Picabia, che torna spesso nelle pagine di questo libro (non a caso nel 2003 Elio ha curato anche il numero 22 di Riga a lui dedicato). Una riflessione su di essa aveva già dato luogo a un volume collettivo del 2016, curato con Riccardo Panattoni, intitolato Sovrapposizioni. Memoria, trasparenze accostamenti, dove Elio aveva tradotto per la prima volta in italiano le note di Marcel Duchamp dedicate all’inframince (infrasottile), concetto che poi ha ripreso in un importante libro omonimo Infrasottile. L’arte contemporanea ai limiti, e che in Album viene applicato e sviluppato in forma autonoma e, mi si passi il termine, creativa.

 


E infatti, se uno applica gli stessi strumenti usati da Elio o guarda e legge con attenzione le sue esemplificazioni, oltre che cose insospettate sulle opere disegnate, trova anche tutta una serie di indicazioni teoriche, un metodo critico che ciascuno potrebbe adottare, che tuttavia funziona solo se declinato in modo personale. Elio accenna queste suggestioni con prevedibile (per me) understatement, che però, come capita sempre a chi lo usa come abito consolidato e quasi involontario, più che a minimizzare nasconde un invito a massimizzare: a prendere sul serio e proseguire sulla stessa strada, a saggiare i percorsi della mappa stratificata che le sovrapposizioni e contaminazioni tracciano o suggeriscono.

E può capitare che, come “gli occhi dei volti di Klee sembrano leggere la scritta di Agnetti, e restano basiti” nel capitoletto dedicato ai due artisti, lo restiamo anche noi con loro.

Non si tratta proprio di una storia dell’arte moderna per contaminazioni, ma di un attraversamento personale che ne indica alcune delle stazioni e dei passaggi decisivi. (Ma anche delle idee e della vita del nostro tempo, della società e delle merci, delle tecnologie di produzione e di distribuzione…) Una teoria, che è sempre, come insito nella parola greca, anche un guardare; ma pure una “lunga fila di persone, animali o cose in movimento” (Treccani), e di opere, che vengono passate in rassegna.

 

Solo che in Album Elio non guarda dal di fuori, non passa in rassegna le opere scelte, ma vi entra dentro, le rifà e le riscrive: le comprende disegnandole e scopre qualcosa in più scrivendo dei disegni, istituendo parentele morganatiche, affinità per contrasto, illuminazioni dalla distanza, integrazioni per differenza, verifiche in differenti colture batteriche, fluide, in cui i termini vengono capovolti, dove i significati di uno diventano significanti dell’altro e viceversa, le forme contenuti, il “support surface”, lo sfondo primo piano, la superficie profondità, il conscio inconscio: inconscio di chi guarda (pittore e spettatore) e dell’opera.

Elio applica sempre uno sguardo e un approccio almeno doppio, non tanto perché due (e a volte tre) sono le opere sovrapposte e descritte, ma già perché doppia è ogni opera (specie moderna, ma non solo, sebbene quelle moderne più coscientemente, forse, e spesso persino programmaticamente), tanto che vien da pensare che in realtà si tratti di una serie di incroci e sovrapposizioni e contaminazioni almeno triplo, o anche di più. Come avviene per l’infrasottile, che è quello del fumo che sa del tabacco e insieme della bocca (e del sangue e dei polmoni) che l’ha espirato, e si pone quindi tra di loro, senza poter distinguere in esso l’uno dall’altra e anzi aggiungendovi se stesso come risultato che le unisce senza eliminare la loro separazione e differenza: “differenza quasi impercettibile che è la spia di una dimensione ulteriore che i nostri sensi non sono attrezzati a cogliere”.

 


In Album immagini e testo procedono in modo analogo a quello in cui la pittura pensa se stessa, non in ossequio alla pratica abusata dell’autorefenzialità, quanto nel senso del pensiero proprio alla sua specifica forma d’arte: cosa pensa un’immagine e come, e come dà a pensare, e come questo si riflette nella scrittura che ne parla ricevendone a sua volta occasioni di pensiero nuove.

A Elio interessa l’après-coup, “l’effetto della forma sull’idea e sul linguaggio”: “l’arte potrebbe ... essere originaria e preistorica in questo senso, nella scoperta retroattiva che il pensiero è nato da essa.” Elio usa i disegni in questo senso, per far nascere i pensieri. Ma insieme anche curarli, accarezzarli, avvertire l’emozione, o comunque altro lo si voglia chiamare, che li ha suscitati e che essi fanno scaturire.

 

Gli artisti messi in relazione come dicevo sono sempre due (o tre) con una sola eccezione, Marcel Duchamp, che però del principio del raddoppiamento è il massimo rappresentate e teorico: non solo in “Marcel Duchamp double” viene raddoppiato il suo readymade più famoso, l’orinatoio esposto col il nome Fountain nel 1917 firmato R. Mutt, e subito sparito, tanto che negli anni lo si è dovuto duplicare in più occasioni;  ma doppio è anche lo sguardo che implica l’infrasottile, che è appunto “un invito a guardare due volte, un invito che è di fatto quello dell’arte”.

Ma in Album c’è qualcosa di più: non solo il disegno dialoga con il testo, e quasi lo genera, ma i due disegni sovrapposti che lo compongono dialogano tra loro, evidenziando qualcosa dell’uno nell’altro e viceversa, e quella cosa ancora diversa che è il loro insieme sovrapposto, ma al contempo che, in questo dire moltiplicato, qualcosa nascondono anche, di sé e del loro partner. Va bene che il disegno è pieno di vuoti, lascia spazio al bianco, smaterializza e volatilizza il volume, specie se, come qui, non c’è ombra di chiaroscuro, ma è anche un insieme di tratti che nasconde qualcosa dell’altro: è, come disegno, il risultato di una serie di cose tralasciate, scientemente o meno; la scelta dei tratti (linee) significanti, la loro articolazione, e l’intervallo, la spaziatura dall’una all’altra, qualcosa di indecidibile, a pensarlo, qualcosa di invisibile, a guardarlo, una cancellazione non dichiarata, un vuoto, un mistero.

Si leggono gli accostamenti uno per uno, anche a caso, saltando qua e là, ma a uno sguardo d’insieme il libro appare come una specie di cartografia dell’arte del ‘900 per sondaggi rilevanti, per carotaggi mirati, specie delle avanguardie, perché l’arte del ‘900, e anche odierna, per Elio, sono le avanguardie, anche se poi spesso gli artisti più significativi sono, rispetto ai movimenti, marginali, extravaganti, irregolari: cioè unici, sempre sui generis, come gli artisti devono essere, e non “rappresentativi”. Se le opere che ha scelto appartengono prevalentemente a questo genere di artisti, è perché è questo che Elio pensa.

Si può anche vedere, in certi passaggi, penso per es. a “Salvador Dalì / Documents”, o a “Henri Matisse / scultura tibetana”, una specie di mimetismo, non della cosa, dell’immagine o dell’oggetto, ma della procedura: ovvero la trasformazione dell’oggetto in procedura, che produce ovviamente un altro oggetto, che è poi anche un’altra procedura. Come faccio anch’io qui, quasi un omaggio, con questa sovrapposizione, nella speranza che ne esca un abbozzo di ritratto (doppio). Sovrapposto a tutti i disegni, o, sotto, poco distinguibile ma presente, c’è, come in ogni opera d’arte, il ritratto dell’autore, anzi “un autoritratto doppio, dell’autore e del medium”, in Album a sua volta raddoppiato, a parole e nei tratti della matita. Nel bianco tra le lettere e le parole e in quello dentro e fuori i contorni e le forme.

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