04/03/14

Cielo nero, basso basso


Stavo facendo la mia passeggiata sotto un cielo nero, basso basso, di quelli che annunciano temporali furibondi, grandine, e persino, a sentire i meteorologi, trombe d’aria, tornado, e un po’ camminavo, un po’ guardavo in alto e tastavo l’ombrellino ripiegato in tasca che se avesse iniziato a piovere non sarebbe servito a niente. Però averlo mi rassicurava. Almeno non la grandine sulla testa. E fare Mary Poppins con la tromba d’aria. Qualche goccia già cadeva, per la verità, ma, giunto ai margini del paese deserto (era l’ora di pranzo, oltretutto), invece di girare a destra per tornare, e di corsa!, verso casa, ho piegato a sinistra e imboccato con la mia solita andatura la strada che gira attorno al cimitero, giusto per allungare il percorso. Poi, quando sono passato nelle vicinanze del cancello sul retro, visto che era spalancato, l’ho oltrepassato per tagliare tra le tombe e rientrare a casa passando da lì. 
Dentro non c’era nessuno (stavo per dire nessuna anima viva). Mi sono diretto verso il cancello principale, e la tomba di famiglia che è proprio davanti all’ingresso, senza concedermi l’abituale giro di aggiornamento delle mie rarissime visite, anche perché le gocce stavano cominciando a farsi meno sporadiche e più pesanti, quasi ghiacciate. Oggi però, non so perché, per arrivarci ho preso un vialetto parallelo al solito, lungo il quale sono sepolti un paio di conoscenti che passo sempre a salutare; ed è così che ho visto, per la prima volta, la tomba di una mia ex-allieva morta di tumore a meno di quarant’anni. La grande foto a colori la mostra com’era a trent’anni, poco prima che iniziasse la sua lunga malattia, bella come non era mai stata a diciotto, a scuola, l’ovale ammorbidito dall’età, la pelle splendente della maturità appena raggiunta ma con la memoria della giovinezza ancora presente in tutto il suo fulgore, lo sguardo pieno di luce, meraviglioso. Non mi sono fermato, e, con un piccolo senso di colpa, ho tirato dritto verso l’uscita. Poi, però, davanti alla tomba dei miei genitori una sosta l’ho fatta. Ho guardato le loro foto che sbucavano dai fiori che mia sorella non gli fa mai mancare (però non dovrebbe metterglieli così vicino agli occhi, che poi non vedono niente) e, loro, mi è sembrato che avessero un’aria triste che in genere non hanno, le labbra appena più strette del dovuto, il sorriso un po’ forzato di chi si sente solo o ha un qualche cruccio che non vuol dare a vedere, perché guai a rovesciare sugli altri problemi che sono solo nostri, guai a farsi compatire! Strette appena appena, che anche chi li ha conosciuti bene non si accorgerebbe di niente. Non io, però. Io conosco ogni piega dei loro volti, ogni sfumatura dei loro occhi. Le conosco nei miei; più dei miei. E quindi vedo. Ho visto.
Tranquilli che arrivo, gli ho detto allora, e mi sono diretto al cancello.
 (Poi non è piovuto.)
 

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