07/03/14

Fenomenologia dell'attraversamento




Non capisco perché si debbano salvare le specie in via d’estinzione. E’ un enorme spreco di tempo, soldi e energie. Se si stanno estinguendo a causa nostra, dovevamo pensarci prima; e magari pensare subito a evitare che emergenze di questo tipo si ripetano in futuro. Quelle che sono già condannate forse sarebbe più rispettoso lasciarle andare con dignità. O vedere se se la cavano da sole. Anche se in certi casi uno avrebbe la tentazione di assecondarne la scomparsa. Con il pedone che attraversa le strade trafficate, per esempio. Persino nella sua versione più mite di attraversatore di strisce pedonali. Talvolta mi prende l'impulso, coi miei poveri mezzi, di favorirne l'estinzione. Non è una propensione naturale: di natura mi picco di essere buono; piuttosto un riflesso indotto da circostanze avverse particolarmente maligne. Subdole. Luciferine. A meno che non si tratti di una bontà di secondo grado, più profonda di quella naturale, ma di cui mi sfugge la logica, che pure dentro di me sento direi quasi il dovere di assecondare; anche se finora ho resistito. Ahimè. Ma potrebbe pure trattarsi del magnete della perfezione, la deriva che induce a portare a compimento ogni lavoro che qualcuno abbia iniziato: soprattutto se è rimasto in sospeso dopo un inizio promettente; ma ancor più, per come sono fatto io, se già il principio era difettoso. Non sopporto i lavori malfatti. Devo ringraziare mio papà per questa stortura. A volerla seguire ci sarebbe da rifare il mondo intero, dalle origini e oltre. Dall'originatore. Meno male che mi soccorre la pigrizia.
Prima che sparisca, allora, mi è venuta l’idea di scriverne la fenomenologia. Un abbozzo perlomeno (sono vecchio fan di filosofi che cominciano con la H). I preliminari. Grundrisse, al più. Un canto a un mondo che se ne va. Un epicedio in lieve anticipo. E un modo per alleviare il senso di colpa del complice. Per impedirgli di formarsi, anzi. Coi sensi di colpa ho chiuso. Sigillati e consegnati a uno sconosciuto che li gettasse in fondo all’oceano, in balia di correnti indecifrabili.

Uno dei fattori scatenanti del suddetto impulso, forse il principale (ma non sarà una qualche libido destruendi? Un puro e semplice, banalissimo piacere di annientare, di portare tutto al nulla da cui proviene, come per una superiore legge dell'omeostasi? O una versione benevola del cupio dissolvi, un proiezione del desiderio di morire, o del suicidio, all’esterno, dato che io stesso sono principalmente un camminatore? La tensione verso la pace perpetua? Ma sì! Esageriamo, a rischio del ridicolo… a capofitto nel suo traffico forsennato!), o l’occasione, se si preferisce, ha un'origine precisa: il paese vicino al mio, quasi incollato, come un gemello siamese, gemello-rivale, che devo attraversare praticamente il 70% delle volte che devo fare qualcosa che al mio difetta. Cioè quasi tutto.
Dunque: questo paese, che è persino indegno di essere nominato; questo luogo seminfernale, di morbose tentazioni; piccolo ma ad alta gradazione di pericoli, luogo frattale dell'agguato e della perdizione; questo conglomerato informe, dicevo, proprio in centro, nel suo cosiddetto microscopico centro, roboante e tronfio e miserabile, che non è manco un centro a dirla tutta, ma un bubbone, un'escrescenza che supplisce all'assenza di un vero centro con la sua prosopopea, nel tratto di strada che lo attraversa, 200 (duecento!) metri in tutto, senza semafori, con una deviazione verso la piazzetta del comune, poco più di un cortile poco meno di un'aia, un'altra verso un parcheggio e una terza verso un senso unico recentemente lastricato di nobili sampietrini di porfido color vinaccia smorto, quasi esangue, come un ematoma che sta per essere completamente riassorbito, vanta ben 8 passaggi pedonali, ai quali si aggiungono 5 rallentatori tipo piattaforma, ampi, ma con un dislivello dolomitico, nei 150 metri della via affluente che costituirebbe una spiccia alternativa se da casa mia volessi giungere qui passando per la campagna e poi davanti al cimitero, vicinissimo quindi, comodissimo!, quasi un invito al trapasso, volontario o involontario o procurato che sia, rallentatori che ricoprono la funzione di strisce pedonali, che infatti sono disegnate sulla piattaforma in un giallo di chiara ascendenza organica: tutti percorsi da un incessante andirivieni di passanti, un flusso infinito, tanto intenso che sembra che tutti gli abitanti di quel minuscolo buco non facciano altro che attraversare in tondo ora l'una e poi un'altra e poi le altre fino a sera tutte le piattaforme e le strisce, calcolando con precisione il momento in cui qualcuno sta per arrivare sull'altro marciapiede per imboccare lo stesso percorso in modo che non ci sia intervallo sufficiente ampio perché bicicli o quadricicli a pedali o a motore possano insinuarsi, e più ancora, passando il testimone, ove questo intervallo si producesse, a qualcun altro che attraversa 2, 5, 7 metri dopo le strisce, il quale, già che c'è, inaugura un nuovo flusso fuori riga, altrettanto intenso e altrettanto invulnerabile, perché se uno è fermo 3, 6, 8 metri prima, non vorrai che si metta in moto, o, se parte, che prenda una velocità potenzialmente letale in uno spazio così limitato?, di modo che si formano sempre code lunghissime, che ci sarebbero già, di regola, a causa della vicina autostrada dove praticamente ogni ora c'è un incidente che costringe a deviazioni e fuoriuscite anticipate di camionisti nervosissimi con l'occhio iniettato di furore omicida, ma vengono poi accresciute da questa folla infinita che uno non crederebbe che morte tanta n'avesse disfatta, e che appunto per questo nessuno si accorgerebbe se crescesse o diminuisse di qualche unità grazie al sollecito intervento tuo o di qualche altro filantropo di cui il mio territorio abbonda, magari un po’ ogni giorno, tanto che alla fine: to’, penserebbe l’autista di passaggio, non c’è più nessuno, è il paradiso…

L'unico vantaggio di questo, come di tutti gli inferni, è che, qualsiasi cosa uno cerchi, ci trova la casistica completa: qui dell'attraversatore di strisce e di strade in genere, con tanto di varianti afferenti l'antropologia culturale in virtù della composita varietà dei soggetti, che spesso sovrappongono all'odissea da un marciapiede all'altro i riti di passaggio e le esibizioni di virilità o femminilità (se una cosa tanto mostruosa esiste) delle rispettive culture e famiglie e gruppi d'età e livelli mentali, morali e ormonali.
Non sto a diffondermi sul pedone prudente, alla cui categoria mi onoro di appartenere quando non sono sovrappensiero o non sto guardando altrove o parlando o sentendo musica o salutando qualcuno o cercando di riconoscere un essere vivente o un oggetto qualsiasi, anche incorporeo:
l'attraversatore morigerato, attento, il simpatico esemplare da manuale merita tutto il rispetto, e sarebbe certo di grande interesse se appunto non fosse relegato nei manuali. Appena ne vedrò uno in carne ed ossa lo descriverò senza risparmiare nemmeno la tac del mitocondrio. Per il momento ci passo sopra.
Potrei anche tentarne una descrizione in cavo, per differenza e sottrazione, partendo da tutti gli altri tipi e lasciando al lettore volonteroso, cioè il mio lettore ideale (tanti baci!), di completarne la fisionomia unendo i tratti distintivi e ribaltando in positivo il calco. Come una maschera mortuaria. Forse il ritratto si disegnerà da sé, balzando fuori dalla scatola degli attrezzi, uscendo a cavallo dal mundus in cui si era prima gettato. E in cui qualcuno getterà me, se non la smetto con queste citazioni e allusioni.
Quindi non dirò nulla del passante spavaldo, in fila, sulle strisce di una strada vuota, l'aria sicura e allegra come la copertina di un lp d'annata. Un'occasione persa. Peccato!

Quello che si avvicina di più all'archetipo è l'attraversatore circospetto, che non rinuncia al gesto di difesa neppure quando le carreggiate sono vuote o le auto già ferme a distanza di sicurezza. E' un gesto quasi impercettibile, di solito automatico, che consiste nell'alzare leggermente la mano, pur tenendo il braccio disteso ad assecondare il passo, e quindi ruotando il palmo prima in parallelo all'asfalto e poi aperto, ma appena, senza alcuna implicazione minacciosa, verso la macchina che già si sta fermando o addirittura è già ferma, come a impedirne la corsa immobile ma sempre incipiente, la ripartenza che si suppone nervosa per la sosta imprevista anche quando il conducente è tranquillo e sprizza cortesia. Vedendo gli altri che lo fanno ho realizzato di farlo spesso anch'io. E' la mimesi. O la fifa. Mi chiedo cosa ne direbbe Darwin. Anzi, no. Perché importunarlo con queste scemenze?
Non dico niente nemmeno delle vecchiette spaurite e dei vecchi tremolanti perché a breve rientrerò nella categoria e niente compassione, per favore. Però a volte la sindrome del buon samaritano, a vederli, ti prende lo stesso: l'imperativo categorico di abbreviarne le sofferenze. Con giovamento alle famiglie: doppio, perché si vedrebbero alleviate di un debito, senza farsene una colpa in quanto la disgrazia non sarebbe dipesa da loro, e anzi verrebbero risarcite dalle assicurazioni (ammesso che una volta tanto vogliano adempiere ai loro obblighi).


Sono più interessanti quelli che ricamano l’orlo della regola aurea pur restando al suo inerno, e quelli che la infrangono solo di poco.
Gli spavaldi esibizionisti che la infrangono platealmente e attraversano senza preavviso dove gli capita, secondo l’estro o la produzione testosteronica, non rientrano nella casistica e quindi si possono travolgere in tutta serenità. Che se c’è giustizia si potrà chiedere i danni, per lo spavento e le ammaccature alla carrozzeria, e altri generici danni morali, al diretto interessato, qualora sopravvissuto, o alle famiglie, che, so per certo, spesso aggiungono un piccolo vitalizio all’autista in proporzione alle spese di mantenimento venute a cessare con l’inutile esistenza dello scassamaroni investito. Un caso simile a quello summenzionato, con sottili ma decisivi distinguo però. Infatti, per esempio, lì si trattava di amabili vecchietti amati da quasi tutti i famigliari e che è possibile, una volta crudelmente liquidati dalla sorte, persino rimpiangere; mentre qui il soggetto in esame, sempre per esempio, avrebbe potuto anche evitare fastidi ai sopravvissuti togliendosi di mezzo di propria iniziativa, anche in maniera non cruenta, sparendo e basta, come nei romanzi: ma appunto, non sarebbe stato lo scassamaromi che era.

Senza contare la visione epica delle greggi che si accalcano ai semafori cittadini in attesa del verde e poi si muovono uno accosto all’altro, stretto stretto, come oceaniche mandrie nel Serengeti, altrettanto maestose, ma senza sollevare tutta quella polvere fastidiosissima e puzzolente che ti colonizza ogni alveolo polmonare e resta nella memoria olfattiva fino a un attimo prima della morte (poi ci sono altre urgenze): e comunque uno spettacolo di sicuro effetto…;  a me personalmente piacciono gli attraversatori che passano sulle strisce come se stessero levitando in un tunnel spazio-temporale tutto loro, isolati dal resto del mondo a cui pur offrono il proprio splendido simulacro in contemplazione: come accade anche a certe donne non attraversanti, purché in affollati luoghi pubblici tuttavia. Hanno un passo sicuro, fluido, disinvolto: il passo della sprezzatura. Potrei invidiarli: non fosse che  c’è quasi sempre qualcosa che li rende ridicoli. Ma le eccezioni profumano di portento. Sono un’igiene per la vista. Un collirio trascendentale.
I regolari, i docili, non sono un grosso problema: spazzarli via non costerebbe fatica, se ne valesse la pena. Se già non ci pensassero loro a togliersi di mezzo accelerando il passo, con lo sguardo deferente, grato perché gli è stato concesso un transito sicuro, con sorrisi che allargano il cuore. Che riconciliano con l’umanità, ammesso che questo sia desiderabile.
Meglio occuparsi delle minacce. Le folle sulle strisce raramente lo sono, se non in occasioni estreme in cui solo gli idioti vanno a cacciarsi. E allora peggio per loro! Escluso questi casi, gli attraversatori più pericolosi potrebbero sembrare quelli che, dopo un'occhiata fugace davanti a sé, non alterano il ritmo dei loro passi e piegano con sicurezza verso le strisce, all'improvviso, senza soluzione di continuità, fermandosi poi, o viceversa accelerando di colpo, solo dopo aver visto sopraggiungere una macchina dalla direzione prima trascurata o aver sentito lo stridore dei freni, avviando una pantomima stizzita di parti tu, no tu, no tu, tutti e due insieme e poi insieme fermi di nuovo e deciditi una buona volta.
Invece i più infidi, quelli veramente pericolosi, appartengono alla specie che pratica l'hesitation. Che a modo suo sarebbe pure un’arte, perché spezza la continuità e introduce una variazione di ritmo. Anche più di una, nei virtuosi. Le frenate avvengono, rispetto ai casi precedenti, con un attimo di ritardo, e dopo aver dato all’autista una fallace sensazione di sicurezza, tanto da indurlo a procedere di quel tanto, prima della brusca frenata, da trarre in inganno anche chi lo seguiva nella fila, che in alcuni casi, per distrazione o distanze non rispettate, finisce per tamponarlo. La consolazione in questo caso è che il pedone viene investito in seconda battuta e la colpa ricade sul secondo della fila, che se la dovrà prendere solo con se stesso. Rispetta il codice, somaro!
Questa casistica ha favorito la diffusione di vere e proprie leggende napoletane (o metropolitane, non ricordo…) di kamikaze del piccolo trauma a scopo estorsione (personale o assicurativa). Gente in agguato sui marciapiedi, o nei parcheggi dei supermercati, nelle strette viuzze dei centri storici, lesta a approfittare del pollo, in genere attempato e alla guida di autovetture non troppo di lusso (altrimenti quelli mandano i loro, di avvocati, o qualche amico influente, o amico di amico nerboruto), che allunga la zampina, il fianco, attenta a non esagerare ma abbastanza per spillare qualche gruzzoletto significativo, malattie pagate, magari infermità permanenti di minima entità, tipo l’8% dell’udito che poi è un vantaggio anche in rapporto all’inquinamento acustico crescente… Storie fantastiche che un cartesiano di ferro come il sottoscritto ascolta con un sorriso accondiscendente e nulla più; e che quindi le lascerà perdere, affogate nella melassa dell’aneddotica. Mica sono un barzellettiere, io!
Subito dopo vengono quelli che mancano le strisce di poco, ma che fanno come se ci fossero sopra, per metonimia, identificazione mediante contiguità; magari lo fanno apposta, come atto di suprema libertà: infrango la regola, ma di poco... ma intanto la infrango e l'infrazione, in quanto tale, è assoluta, prescinde da sfumature e misurazioni. Hanno la schiena dritta, lo sguardo padronale, un po’ altezzoso forse, ma più che altro indifferente, come di chi ha il sedere ben comodo sul diritto, chi comanda perché è così, naturale e dovuto. Perché è lui. Però sotto sotto si muovono circospetti. Lo sguardo periferico scrutatore, pronti a scattare, a fermarsi o deviare, e a inveire, ma soprattutto a minacciare. Sono gli eroi del nostro tempo. Diversamente vigliacchi.

Poi ci sono quelli che arrivano spediti, dando l'impressione che si getteranno di slancio sulle strisce e le attraverseranno in un lampo, ma appena poggiano il piede sul bordo del marciapiede si arrestano di colpo, in bilico precario sullo spigolo del marciapiede, ondeggianti, a rischio di caduta in avanti se qualcuno non li prende sollecito per il gomito. Ma anche a rischio di spinta, di calcio negli stinchi o di tamponamento da chi segue con lo stesso passo e la stessa svagatezza. E’ gente che viaggia a frotte, in gruppetti contagiosi, che sacrificano volentieri il capopopolo per spirito di equità. Come giusto d’altronde.

E poi ci sarebbero… Ma no. Basta. L'idea era di descrivere posture, andature,velocità, soste, manovre di osservazione e loro assenza, forme di decisione e indecisione, tipi di partenza, l'arte dell'incipit, e le fasi e modalità dell'attraversamento, e il ventaglio delle implicazioni culturali, di immagine data o desiderata... sai che palle!
In fondo, a ben vedere, cosa vuoi che me ne importi di questa genia? Con tutto il tempo che già mi fanno perdere per strada, non vedo perché ne dovrei perdere anche qui. Che vadano a ramengo, loro e le loro strisce! Che attraversino come meglio gli garba i loro limbi e che il viaggio gli sia lieve, e approdino infine a mondi lontani, tangenziali, di pura felicità. La loro sarà anche la mia.

1 commento:

  1. Anonimo7/3/14

    sono arrivata solo a metà percorso. In giornata spero di finire l'attraversamento. Da viva! Luigi, come sempre, chapeau! lucetta

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