13/10/14

Scrivere dei morti e dei vivi, di un morto come fosse vivo e viceversa (un piccolo appunto recuperato)



 
Scrivo, a momenti, come se X fosse morto ieri e io venissi a sapere solo ora della sua morte, ma di un sapere, come spesso accade in questi casi, astratto, che capisce ma non assimila, non attraversa il ponte tra le parole e la realtà, non si fa sangue, esperienza, e quindi (scrivo) come se la certezza, data dalla notizia, che B. (in questo caso, per esempio) non c'è più, che è morto per sempre, convivesse con l'altra, che ci ha accompagnato per anni sino ad ora, che è ancora vivo, con l'onda lunga della vita che continua a vivere in noi, che ancora vive della nostra stessa vita uno di cui si è appena saputo che invece è appena morto, quasi che l'"appena" fosse troppo poco, non fosse sufficiente a bloccare la realtà dell'accaduto, a traghettare al "per sempre"; come se il passaggio dall'appena al per sempre fosse ostruito, impraticabile, impensabile: uno che continua a morire in questa onda lunga del suo essere ancora vivo nel suo essere appena morto, nella notizia che me lo dice morto da poco.
E così è in ogni sua riga che leggo e che, ancora a lungo, leggerò come riga scritta da uno che è ancora vivo essendo morto: complemento speculare, no: indistinguibile, del leggere ogni riga di chiunque come se fosse morto: come la scrittura, la parola di un morto, di uno che è morto e continua a morire in ogni parola sua che leggo, anche se è ancora vivo, e pur sapendo che è vivo, ancora e per sempre.
(Come, viceversa, X è morto ancora e per sempre)

1 commento:

  1. Leggo questo tuo post, dopo averti mandato la mail che leggerai.
    Esattamente, precisamente: vorrei proprio non essere morto per sempre, ma avere qualche certezza, meglio qualche speranza, che sarà così finché sono vivo.
    Intitolerei il tuo post: l'affido. F

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