11/03/15

Thomas Bernhard, Perturbamento e L'italiano (1982)

Thomas Bernhard è un austriaco cinquantenne, autore negli ultimi vent’anni di altrettanti e più libri, tra romanzi, racconti e scritti teatrali e autobiografici, che ne hanno già fatto un classico della letteratura di lingua tedesca del dopoguerra.
Ben noto in tutta Europa, sta per essere tradotto su larga scala anche da noi, si adattano suoi lavori teatrali e si moltiplicano interventi e dibattiti sul suo lavoro. Alcuni dei suoi testi migliori sono comunque già in libreria da qualche mese, e vale davvero la pena di leggerli con la necessaria calma e riflessione. Mi riferisco ai tre notevoli racconti Kulterer, Al limite boschivo e L’italiano, editi da Guanda con il titolo di quest’ultimo, e al più noto dei suoi romanzi, Perturbamento, ottimamente tradotto e presentato presso Adelphi da E. Bernardi.
Sono testi nei quali una trama essenziale, tanto da indurre erroneamente a passarla in sottordine o considerarla pretestuosa (in Perturbamento la lunga giornata di visite di un medico accompagnato dal figlio), fa da campitura al netto stagliarsi di personaggi chiusi in un privato delirio che accumula in maniera apparentemente caotica le recenti rovine di un paesaggio, fisico intellettuale e morale, sconvolto da catastrofi che perennemente si rinnovano.
Altro che Austria Felix: un susseguirsi di miserie, violenze, alienazioni e deformità in un ambiente che ne è il perfetto corrispettivo naturale ed anzi ne costituisce una determinante causale. Paesaggio atroce e sinistro che ben poco rileva della dolcezza turistica di verdi vallate, ma “tollera soltanto un minimo vitale”, tanto che in e per esso niente risulta così naturale che “concepire e perpetrare i delitti più atroci” e un agghiacciante campionario di suicidi, quando poi non sprofondi in “una oscurità tanto grande da escludere addirittura il suicidio” stesso.
I suoi abitanti, e non solo perché il Virgilio del romanzo (dato che chi scrive riportando fedelmente ogni discorso è il figlio non è chiaro cfr manoscritto), sono in gran parte malati, pazzi, selvatici, tarati fisici e mentali, che ci vengono presentati o sull’orlo di una tragedia che sta per esplodere, sovente immotivata, o che perpetra indefinitamente i suoi effetti se già esplosa, in uno spazio dominato da cieche coazioni e impulsi incontrollabili (come denuncia la frequenza di espressioni come: non posso fare a meno di, mi sento obbligato a, non riesco a evitare di... ecc.), nel quale “tutto succede nella morte” anche se, o proprio perché, niente riesce a morire definitivamente.
Come Kulterer, il protagonista dell’omonimo racconto, molti di essi scrivono, suonano o disegnano; quasi in ogni casa ci sono libri, spartiti o quadri (come quello “assolutamente brutto e nello stesso tempo assolutamente bello – “è bello perché è vero” – che si trova nell’allucinante mulino situato nel punto più oscuro della valle, dove ogni rumore è coperto dai gridi ossessionanti di un nugolo di uccelli esotici che i figli del padrone stanno sistematicamente strangolando); ma anche ogni tipo di cultura o di attività artistica non è che la forma che prendono, o l’esito verso cui conducono, il solipsimo e la malattia.
Vivono tutti in famiglie amputate o in connivenze abnormi (l’incesto, che costituisce anche il motore profondo di Al limite boschivo), ovvero in una vedovanza che solo impolvera il ricordo di qualche velatura positiva, sebbene non tanto a causa di un amore o di una felicità effettivamente consumata, quanto piuttosto perché “un essere umano può sentirsi unito a un altro che ama soltanto quando quest’altro è morto, e davvero è entrato a far parte di lui”. Ma più frequente è il caso in cui la consanguineità rivela solo il perpetuarsi dell’orrore o il progredire della degenerazione e aumenta il senso di separazione e la consapevolezza del fallimento, che si esprime al meglio nelle parole del principe in Perturbamento: i membri della mia famiglia “li vedo tutti insieme come se li vedessi attraverso di me, e all’improvviso mi viene in mente una mostruosa costellazione, qualcosa di tremendo, forse la cosa più tremenda che esista: io sono il padre!”.
Del resto è proprio nelle parole del principe, il cui lunghissimo monologo occupa tutta la seconda parte del romanzo e dà luogo ad alcune delle pagine più cupamente folgoranti degli ultimi decenni, che trovano spesso la loro sistemazione e il momento di massimo dispiegamento razionale, ma anche di massima Follia, tutti i discorsi dei personaggi incontrati da padre e figlio lungo la loro catabasi.
Questo non comporta tuttavia l’assunzione del principe a portavoce di un ipotetico messaggio dell’autore: nonostante sia possibile infatti, e forse anche legittimo, estrarre dagli scritti di Bernhard una o più tesi ascrivibili con buona probabilità alle sue idee o opinioni, la sua caratteristica fondamentale è piuttosto la sistematica recensione, ossessiva e lucida, lucida ma ossessiva, di ogni possibile discorso, un accanimento incrollabile a evidenziare le complementari assurdità di chi vuole costruire un edificio accatastando macerie riconosciute nella loro inservibile negatività e di chi prospetta discorsi alternativi aggirando queste macerie, come se fosse possibile biodegradarle o come se ci fossero altri materiali disponibili.
Bernhard muove forse dal rifiuto di ogni dimostrazione e pensa davvero che “l’unico fine didattico raggiungibile è la morte”, ma è comunque evidente che da una prospettiva del genere risulta una visione del futuro come azzeramento e del passato, proprio in quanto passato, come male minore, quasi da rimpiangere, anche se in esso era già attivo qualcosa di più dei semplici germi del luttuoso presente.
Ciò non toglie però che la forza dello scrittore austriaco risieda nella negazione di ogni palliativo o investimento sentimentale: egli si pone di fronte alle cose narrate in un atteggiamento freddo e come scientifico, e il suo stile è sì violento, perché da esse promana violenza, ma privo sia di compiacimento che di rabbia. Ma la passione sottratta all’oggetto e allo sguardo si è riversata tutta nella scrittura, che al pari del principe gela “dall’interno verso l’esterno” rivoltando ogni lato della realtà e dei concetti e presentando così qualcosa di nuovo che non sia automaticamente negativo.
Non si devono dimenticare le valenze positive che appunto la lucida sistematicità recensiva può comportare: come nota giustamente E. Bernardi, è forse infatti il viaggio stesso la risposta implicita alla lettera, contenente “una prima, sia pure prudentissima protesta di un ragazzo contro la brutalità della vita”, che il figlio aveva inviato al dottore sperando invano dirette parole consolatrici o illuminanti.
 19-12-1982



Thomas Bernhard, Perturbamento, Adelphi, Milano, p. 239, £ 10.000
                   L’italiano, Guanda, Milano, p. 55, £ 6.000 



Nessun commento:

Posta un commento