Il tecnico fa delle considerazioni sul fatto che accettiamo come normale che una persona centenaria muoia. La riteniamo fortunata di aver vissuto tanto, anzi. (Io no. O perlomeno faccio abbondanti distinzioni) Mentre un vecchio albero che muore ci addolora, come se avessimo pensato che fosse eterno, o potesse durare indefinitamente, molti secoli, millenni. E' vero, un grande albero che muore addolora con un'intensità sorprendente, senza che ci sentiamo in colpa come se avessimo sottratto questo dolore a un essere umano. Come se fossero due dolori differenti, essendo però lo stesso. Un lutto in qualche modo, per l'albero, più ancestrale, però. Che comunque molti non provano, senza stupirsene. Mi stupisco io per loro. E anche per me.Racconti, libri, mostre, divagazioni, recensioni, speculazioni varie
30/07/18
Farnie, paulownie e gelsi secolari
Il tecnico fa delle considerazioni sul fatto che accettiamo come normale che una persona centenaria muoia. La riteniamo fortunata di aver vissuto tanto, anzi. (Io no. O perlomeno faccio abbondanti distinzioni) Mentre un vecchio albero che muore ci addolora, come se avessimo pensato che fosse eterno, o potesse durare indefinitamente, molti secoli, millenni. E' vero, un grande albero che muore addolora con un'intensità sorprendente, senza che ci sentiamo in colpa come se avessimo sottratto questo dolore a un essere umano. Come se fossero due dolori differenti, essendo però lo stesso. Un lutto in qualche modo, per l'albero, più ancestrale, però. Che comunque molti non provano, senza stupirsene. Mi stupisco io per loro. E anche per me.26/07/18
Musei italici
Tornato a casa ho consultato l’archivio fotografico dell’importantissimo
polo museale in questione: molto ricco, in quanto a numeri, ma metà delle
immagini sono ripetute, quasi tutte sono di dimensioni filateliche e a
bassissima risoluzione, e anche lì, sorpresa!, c’è pochissimo di quello che
cercavo. Decidono loro cosa riprodurre, ovvio. E’ quello che la consuetudine ha
portato a vedere di più; a vedere perché ti hanno detto che va visto: quello
che è “importante”, consolidato, facile. E più facilmente vendibile: come se
fare delle riproduzioni richiedesse chissà che investimenti da cui rientrare
quanto prima!
Io da qui a mani vuote non me ne vado!, ho pensato allora. Ma non mi
riferivo alle cartoline. E così sono tornato indietro, ho ripercorso quasi
tutte le sale, approfittandone per scattare altre foto malandrine (e maldestre)
e sono sceso nel sottosuolo, alle toilettes. Ho percorso i corridoi e sono
arrivato a due salottini che introducevano ai bagni veri e propri, non belli e
invitanti alla lettura come quelli della Biblioteca nazionale di Dublino (cfr.
foto), ma molto puliti e decorosi, a modo loro eleganti, e lì, sotto gli occhi
esterrefatti di un inserviente indiano, saltellando qua e là come un
indemoniato, mi sono sfogato a fotografare a raffica tutto il fotografabile. 2012
24/07/18
Saluta i vecchietti!
Sono a passeggio con A.,
di ritorno dalla visita periodica al "nostro" orto per verificare
come procedono i lavori di fine inverno. La nuova stagione è alle porte, mica
vorremo farci trovare impreparati! L'orto è nostro nel senso che l'abbiamo adottato:
già ci piaceva e ci fermavamo a ammirarlo ad ogni passaggio, con ampi
apprezzamenti anche per le galline razzolanti, le capre nel prato contiguo,
l'ordine della legna accatastata, la pulizia del vialetto, la cura degli
attrezzi, senza dimenticare la maestà del concime accumulato pudicamente dietro
un muro e visibile solo una volta entrati (semi-illegalmente, perché dovrebbe
essere proprietà privata: del prete però) nel vialetto dell'aglio selvatico, da
cui parte anche una ripida discesa verso il fiume lungo la riva traforata di
grotte (una abitata da una Madonna piuttosto ritrosa; scontrosa o timida, non
saprei: appartata e solitaria comunque); ma poi abbiamo anche conosciuto il
contadino, che ci ha informati sulla sorte dei prodotti, non in vendita come
speravamo perché tutti riservati alla famiglia allargata, sui metodi di lavoro
rigorosamente biologici che hanno incantato A., che sull'argomento è un
oltranzista (io me ne frego: per me l'orto ha una valenza estetica prima che
etica: mi incanta e commuove; lo ammiro come una forma di auto-organizzazione
della terra, una geometria spontanea di cui l'uomo è solo uno strumento la cui
fatica è irrilevante anche per lui, e anche per lui leggera e gloriosa) e che
da allora ci saluta sempre e talvolta arresta persino il lavoro per scambiare
qualche parola con noi, mentre A. accarezza il cane che lo ha subito adorato: e
tanto è bastato perché l'orto fosse ufficialmente anche nostro. Il nostro
bambino di pensionati in cammino. Io, che non ne ho; A. che invece ne ha due, e
ora anche una nipotina, bellissima e dal nome bellissimo: Irene.
Sì, ma non era di questo che volevo parlare... Riprendo il filo: abbiamo da poco lasciato il vialetto dell'aglio selvatico ancora non fiorito eppure già profumato, e l'orto dissodato ma vuoto, e il cane che prende il sole in mezzo alla strada chiusa, e stiamo camminando sulla pista ciclopedonale; A. dice qualcosa che richiede solo il 37% della mia attenzione e io dissipo il resto nello spazio circostante, un po' su tutto, senza preferenze. Et vive la démocratie!
A un certo punto
sorpassiamo un signore che spinge una carrozzina al cui bordo si sostiene, con
la manina destra, un bimbo di un anno e mezzo circa. Siccome occupano quasi
tutta la pista, chiediamo permesso e io non mi esimo dal dire una battuta
affettuosa (immagino) a cui il signore, un bell'uomo vicino alla cinquantina,
risponde con stringata cortesia. Salutiamo il signore e il bel bambino, e
mentre rallentiamo per la manovra, il bimbo alza di scatto il braccino e mi
afferra l'indice destro al volo; e subito riprende a camminare spedito,
sorreggendosi a me, che lo assecondo e mi sorreggo a lui con lo spirito, per un
bel pezzo. Nello scambio ci guadagno io, ma non me ne vergogno. L'infanzia è
tutta gratis. Si dissipa così, finché può. Finché non lo sa. Poi glielo fanno
notare, e è finita. Come se non ne avessero più. Va be'...
La presa al mio dito
rinforza anche il legame momentaneo del gruppo e quindi è giocoforza rivolgere
di nuovo la parola al signore, che potrebbe essere un nonno giovane; e invece
no: è il papà. Un papà non più giovane che ha sposato una cubana. Giovane. Ne
veniamo informati quando io faccio un cenno alle doti atletiche dell’infante
che mi sta trascinando in una deriva caracollante ma speditissima ("ha
preso tutto da papà") e, riferendomi alla quasi coetanea Irene a cui il
nonno sta già dando le prime lezioni di valzer e fox, alla danza: fra un po’
anche il pargolo sarà un eccellente ballerino, avendo la mamma cubana. Cubana e
ballerina. Ballerina perché cubana. Ballerina cubana. Il dna! Io per esempio
avevo i genitori molto intelligenti.
A. lo trascina allora in
un discorso sul ballo: disquisiscono sui latinoamericani, di cui uno è dotto,
l’altro meno (però eccelle nel liscio classico). Io presto al discorso il 17,5
% della mia attenzione, specie quando entrano in dettagli troppo tecnici per la
mia blanda vocazione tersicorea, concentrato (e felice) come sono sulla manina
attorno al mio indice, stretta stretta. Inutile negarlo: sono orgoglioso, oltre
che estasiato, della fiducia istintiva che l’innocente sta dimostrando per me
(non capisco perché, dal momento che non amo particolarmente i bambini e evito
accuratamente moine e smancerie: mentre in genere a loro io piaccio, magari
proprio per quello; boh, non capisco e non mi interessa capire). Anche se
forse, alla fin fine, sono solo un sostegno come un altro. (Però mi sorride.
Non fa che sorridermi.) Ho fretta, ma non faccio niente per liberarmene. Lui
stringe ancora più forte e così mi cattura (mi stringe) sempre di più, e io
lascio che si continui così fino al ponte, dove le nostre strade si dividono.
Il padre allora gli prende la manina e con una leggera pressione mi scioglie
dalla presa. Io assisto senza assecondare né resistere. Il bimbo alla fine si
stacca, ma il musetto si imbroncia, il labbro trema e, mentre noi siamo già a
qualche metro, abbozza un pianto. E’ in quel momento che mi sembra di sentire
il padre che, presolo in braccio, gli sussurra: "su, dai, non piangere,
vedrai che un altro dito lo troviamo ancora... saluta i vecchietti!"
aprile 2012
12/07/18
C'era questo grande guerriero (Achilleide - appunti, 1)
03/07/18
Diari, tacchini (pardon, taccuini) e zibaldoni. (Appunti per niente 21)
Nei confronti dei diari, taccuini di lavoro, zibaldoni, raccolte di aforismi e aneddoti, il mio atteggiamento è sempre ambivalente: da una parte non posso che apprezzare certe intuizioni o annotazioni o abbozzi che gettano una luce inaspettata su cose che credevo di conoscere o che mi mostrano aspetti assolutamente (da me) impensati sul mondo, la vita, l’arte, la scrittura e i metodi e le procedure di lavoro dei loro autori; dall’altra, prevalente, mi irrita la loro perentorietà, quel tanto di assolutezza che la loro brevità e il bianco (il vuoto) che le circonda conferiscono loro, di modo che diventano subito, ai miei occhi, sciocchezze presuntuose, ridicole. Ho sempre bisogno di storie. Se contengono almeno un grammo di racconto, o la potenzialità di uno spunto narrativo che induce a sviluppare, a seguire lungo la strada che essi sembrano tracciare, o di qualche divagazione o fantasia o riflessione, allora sì. Allora è tutta un’altra storia.


















