26/07/22

Sconcertato nella propria dimora (Aboozzo di recensione di un libro di Gianluca Didino mai sviluppato.)

 

Siamo disorientati, insicuri, la realtà si è fatta porosa, sempre più permeabile, incomprensibile da qualsiasi lato la si guardi, e pertanto sempre minacciosa. Tutti i confini sembrano essersi dissolti, nemmeno la propria casa è più un rifugio, una dimora, qualcosa che resta solido dove è sempre stato, il luogo dell’intimità e della sicurezza, e anzi spesso tende a trasformarsi in una trappola, la più micidiale. Il pericolo che incombe da fuori la rovescia come un guanto proprio nel momento in cui ci si chiude in essa per proteggersene. Più ci si chiude per proteggersi, più essa da fortezza si tramuta in prigione. Lo è sempre stata, ma la minaccia che preme sempre più da vicino, onnipresente, ora lo rende più evidente a tutti. Niente è come è. Tutto appare strano, l’inconsueto stravolge i lineamenti del consueto, l’orizzonte si restringe come un cappio, lo spazio della comprensione si riduce, le categorie che reggevamo la vita impensata perché certa, efficace, mostrano tutta la loro inadeguatezza, non funzionano più. L’abitudine che rendeva ‘naturali’ gesti e relazioni scopre la propria natura di costruzione artificiale, la mancanza di fondamento che nessuna condivisione contribuisce più a tenere in piedi. La dissoluzione della regola, che garantiva certezza anche se poteva sembrare una limitazione, non lascia il posto alla libertà ma al disorientamento. L’altro è qui, incomprensibile, e quindi minaccioso. Alcuni eventi eclatanti (attentati, guerre, emigrazioni di massa) e altri di minor portata ma a volte di impatto anche maggiore (comportamenti imprevedibili di persone vicine, amici trasformati in mostri, agnelli in carnefici) mettono il loro sigillo a queste sensazioni e garantiscono loro quella certezza che hanno revocato a tutto il resto. Tutto sembra funzionare ancora se si adotta una prospettiva, ma basta un’incrinatura che obbliga a cambiare anche solo lievemente l’angolazione e la stessa realtà, quella che fino a poco fa era l’unica, appare diversissima: non tanto il contrario che sarebbe in qualche modo, catastrofico magari, rassicurante come prima, quanto alieno, spiazzante, imprevedibile, incomprensibile e in nessun modo governabile. Gli strumenti di interpretazioni più solidi e di garantita affidabilità si rivelano inutilizzabili, e addirittura controproducenti anzi, e si rende necessario, urgente, trovarne dei nuovi che aiutino a capire. Inventarne di sana pianta non è facile, forse impossibile, e quindi è indispensabile cercare nella cassetta degli attrezzi alcuni strumenti poco usati, di valore in apparenza marginale e a situazioni finora solo marginali applicati, e modificarli in modo che si adattino alle nuove necessità. Uno di questi, che ha mostrato la propria efficacia in aree sempre più ampie, è quella di WEIRD, che deriva in parte da una costellazione concettuale che ha il proprio fulcro. E’ da questa prospettiva che parte e si sviluppa, illuminando angoli rimasti in ombra e mostrando in modo nuovo ciò che sembrava scontato, il nuovo libro di Gianluca Didino, Essere senza casa (minimum fax, 2020).

Per quanto l’unheimlichkeit freudiana l’abbia anticipato, weird contiene sfumature nuove che possono essere d’aiuto per comprendere le nuove realtà del secolo XXI, come hanno mostrato Fisher e altri. Il libro di Didino, che ha come sottotitolo Sulla condizione di vivere in tempi strani, ne mette alla prova le potenzialità ermeneutiche applicandolo a ciò che meno sembrerebbe averne bisogno, dal momento che è l’emblema stesso della familiarità, della sicurezza, di ciò che più è normale e rassicurante: la casa, estendendo le proprie analisi alle sue principali componenti e implicazioni, come edificio e come sistema di idee: l’interno e l’esterno, la soglia ecc., partendo proprio da ciò che sembra minacciarla solo da fuori, il terrorismo, il riscaldamento globale, il degrado delle città e del paesaggio, le ondate migratorie, l’impoverimento.

La stranezza e l’inquietante che vi si manifestano, non si limitano però a rompere le barriere e dissolvere i confini, ma mostrano anche che ciò che irrompe da fuori e cancella la differenza tra interno e esterno, può anche essere il numinoso, come nelle Annunciazioni e nelle Apparizioni, qualcosa che sconcerta ma può anche aprire nuove prospettive, ampliare orizzonti, dare speranza. Sembra che proprio di quella abbiamo bisogno, e Didino, andando a perlustrarne i sintomi che già ora si stanno delineando nei comportamenti sociali, nelle mode e nelle più recenti emergenze culturali e artistiche, ne illustra le possibili vie, che forse è il caso di seguire e assecondare, o quantomeno di conoscere, perché se è vero che comunque ciò che si annuncia, di fatto è già qui e ci coinvolgerà, o travolgerà, in ogni caso, magari prepararsi, accogliere e non difendersi, opporre la resistenza indispensabile e per il resto vedere cosa si può fare, non sarebbe poi così sbagliato. “La posta in gioco è l’estinzione della specie”. Niente di grave, non esistiamo da sempre. L’universo può fare a meno di noi (anche se forse un po’ gli dispiacerà: ci sarà qualcuno in meno che penserà a lui, si sentirà forse un po’ più solo). E anche solo la terra, che è quasi certo che ne trarrebbe un sospiro di sollievo. A noi però dovrebbe interessare scongiurarla nel migliore dei modi, se possibile.


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