06/04/23

Osnago, il 29 agosto 1998

 


Due parole dette a Osnago il 29 agosto 1998 a casa di Alberto Casiraghi per Enzo Fabbrucci, Aurelio Andrighetto e Mariella Bettineschi Mariella Bettineschi. Le metto qui come segno di amicizia che perdura.
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Mi chiedevo stamattina che cosa hanno in comune i tre amici che oggi avrebbero fatto qui qualcosa che ancora ignoro, e l’unica risposta che mi è venuta in mente è che sono tutti e tre esperti di visione e di visioni.
Enzo è il nostro speleologo della notte e del buio, che trasforma in cose viste, in luce, i domìni del sonno e dell’insonnia, le regioni oscure della mente e della ragione, le paure e le ossessioni che in qualche modo scheggiano la superficie liscia del nostro vivere corazzato, facendone, da pietre d’inciampo, pietre angolari di un mondo che ci comprende e, reso percepibile da ogni senso, si lascia comprendere, cancellando i confini del nostro in un respiro più ampio e profondo che scuote dal di dentro anima e corpo.
 

Aurelio, che ha trasformato la fotofobia che lo affligge in ossessione per la luce, è il nostro scienziato luminoso, consulente della luce (con doppio genitivo, perché sospetto che anche la luce stessa, oltre a noi tutti, si rivolga a lui in certi casi quando vuole sapere qualcosa su di sé) che tuttavia produce oggetti nel buio e che della luce indaga soprattutto il lato in ombra e i margini, là dove essa si assenta o, viceversa, là dove, confusamente, qualcosa viene alla luce. La luce che viene alla luce.
Per giungere a questo, entrambi non disdegnano congiunzioni morganatiche, per necessità (dicono) ma traendone evidente piacere, col mito e con la scienza, negli spazi controversi dove è il primo a “spiegare” la seconda, o a esserne “generato” nel punto in cui ad essa la parola viene meno.
Anche Mariella “mastica” visioni, proprie e altrui, e le secerne (uso questo verbo ghiandolare per sottolineare la totale corporeità del suo sguardo e del suo agire) in serie di effetti luminosi, attimi sfuocati che si stampano come lampi sulla pellicola e incidono nella mente di chi li accoglie un’emozione alonata, incerta a prima vista come le cose che rappresentano ma, come esse, con lunghe scie intensissime. A uno sembra di levitarci dentro, ma poi si trova cicatrici sul versante interno della pelle.
Per questo a tutt’e tre sono grato, ma dal momento che, per deficienze strutturali a cui mi sono ormai rassegnato, non sono in grado di restituir loro quanto sarebbe giusto, mi limito a volergli bene, sperando che questo basti.
 

 

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