09/03/16

Le caramelle di Rodčenko


In occasione di una vecchia mostra di Rodčenko (mi è tornato in mente dopo averne visto l’altrieri un’altra di sole fotografie), una delle cose che mi avevano maggiormente colpito erano state le carte per caramelle da lui disegnate nel 1923. C’erano molte opere degne di nota, ma tra tutte ricordavo chiaramente solo qualche fotografia, un paio di manifesti, i tavoli e le sedie di una sala di lettura per un club operaio, e appunto quelle cartine colorate e incorniciate, così minuscole e all’apparenza defilate in mezzo a lavori più imponenti e certo più importanti per la storia dell’arte, sovietica e non.
Erano proprio belle, ma, adesso che ci penso meglio, non era solo per quello che mi sono rimaste impresse, né per la loro singolarità all’interno del contesto disparato per generi e materiali delle opere presentate. D’altra parte, perché stupirsi che Rodčenko abbia disegnato anche cartine per caramelle, quando è noto che l’applicazione a tutti gli aspetti della realtà (quasi tutti, censura e autocensura permettendo) era una delle caratteristiche dei costruttivisti, che rifiutavano programmaticamente l’arte “fine a se stessa”, “iuxta propria principia” (che ci siano riusciti, o anche solo che lo volessero tutti fino in fondo, è tutta un’altra questione), eccetera eccetera?
Non è questo che mi interessa. Ciò che mi ha colpito invece, adesso lo so (ma solo adesso), è la coerenza impeccabile del gesto, in un contesto e a partire da presupposti che invece, più correttamente, avrebbero dovuto renderlo impensabile. Non la sfida però, bensì, ripeto, la coerenza.
Siamo nel ‘23, in piena NEP, le condizioni dell’economia sono disastrose, la stragrande maggioranza della gente (del popolo) manca persino del necessario, i contrasti politici sono tutt’altro che sopiti, i problemi da affrontare da parte di tutti, artisti compresi, sono immensi per quantità e gravità, tanto che anche la vita quotidiana ne risente in modo drammatico, — e Rodčenko che fa? Disegna cartine per avvolgere caramelle.


Certo, è un aspetto secondario, minimo, delle sua molteplice e frenetica attività (oltretutto c’è ancora sufficiente entusiasmo e libertà, per gli artisti), ma lo fa. Non è nemmeno importante, credo, sapere quali siano state le circostanze che l’hanno indotto a farlo (un’ordinazione, probabilmente): importante è che lo abbia fatto, e bene.
Penso alle caramelle, un lusso per pochi, quasi un affronto se mangiate da un rivoluzionario coscienzioso (un po’ meno da parte di un artista, che nel lusso vive comunque: non sto a specificare in che senso, lo si comprende facilmente; un po’ di più del normale però se lo fa in certi periodi, quando persino gli artisti si sentono investiti da una missione sociale e pertanto in dovere di far propri i problemi dell’urgenza e della maggioranza di cui si pongono al servizio). Come saranno state quelle caramelle? che forma, che colori e che sapori avranno avuto? quanta sarà stata la produzione? quanto saranno costate? di che ingredienti saranno state composte? chi le avrà fatte? fabbrichette o pasticcieri memori dei tempi in cui, sia pure per pochi, un’abbondanza c’era stata e nostalgici di un’arte che volevano mantenere in vita? chi e quando le avrà assaporate? Quanto mi piacerebbe poterle assaggiare!
Penso, dickensianamente, a qualcuno che, un giorno, rinuncia al pane per acquistarne una manciata; immagino che non sia uno che se le può permettere, ma un cittadino qualsiasi (non penso a una donna, a una mamma o una nonna col rispettivo figlio o nipote, ma proprio a un uomo, uno che fa un lavoro qualsiasi e magari ha famiglia), che un pomeriggio le vede su un piatto in una vetrina o con sorpresa le scopre in un vaso, sul banco di un negozio dagli scaffali semivuoti: le guarda allibito, le desidera, fa dei calcoli, si vergogna del proprio desiderio, vince la vergogna, fa altri calcoli, o rifà gli stessi di prima, e poi con decisione sovrana li cancella, chiede di che gusti sono, ne sceglie alcuni, anzi no, si affida al caso, vanno bene tutti, le raccoglie dal banco con la mano, le mette in tasca, paga e se ne va.
Quell’uomo sono io. Esco dal negozio, cammino un po’, mi metto la mano in tasca, palpo il mucchietto come se volessi affidare la scelta al tatto, o solo accarezzarlo. Poi afferro tutte le caramelle e, prima di metterne in bocca una, le passo attentamente in rassegna. Ciò che vedo è l’involucro. È indispensabile che sia bellissimo. Non tollererei niente di meno.


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