29/10/15

Amici inaffidabili (con viaggetto a Roma)



A volte sospetto che mia moglie non abbia poi tutti i torti quando sostiene che i miei amici sono tutti inaffidabili. Intellettuali, scrittori, artisti, gente così. Non sono tanti, ma rientrano quasi tutti in questa misteriosa e eterogenea categoria, il cui minimo comun denominatore è uno solo: appunto che di loro non ci si può mai fidare. Non rispettano gli orari, dimenticano le cose, sono trasandati, difettano di ogni intelligenza pratica e quando agiscono combinano solo disastri: insomma, non garantiscono il livello minimo di sicurezza richiesto dalle norme non dico della CEE (che quelli sono aguzzini nazisti), ma anche solo di uno stato approssimativo, dai contorni incerti e ancora in via di definizione, come l’Honduras, Zanzibar, il banato di Laputa.
Niente di grave, per carità, se non che ultimamente questo rischia di pregiudicare frequenza e libertà dei miei spostamenti. E’ che si preoccupa, ci tiene a me e alla mia incolumità. Non vuole perdermi. Mi ama.
Quando ero più giovane, e di conseguenza quando era più giovane anche lei, non sollevava obiezioni se, ogni tanto, prendevo e mi facevo un viaggetto da solo. Per esempio quando, dopo aver fatto il commissario interno agli esami di maturità, mi veniva in odio più del solito il mondo intero e avevo bisogno di stare da solo e in assoluto silenzio in mezzo a gente che mi ignorava e che io potevo guardare con lo sguardo tra il distaccato e lo schifato di un arconte, o di qualche altro essere appena al disopra, o al disotto, del genere umano. Di preferenza in un posto di cui ignoravo o potevo fingere di ignorare la lingua (con le lingue straniere si può: basta non prestare attenzione; mentre con la nostra devi proprio tapparti le orecchie, e, per sicurezza, non guardare neppure in faccia). E sì che allora non c’erano nemmeno i telefonini e talvolta era un problema persino chiamare casa, anche solo per dire sono arrivato, sto bene, ho trovato un buon albergo (non prenotavo mai, non sapendo in anticipo dove mi sarei fermato) e altre notizie essenziali, giusto per far sentire la voce, il tempo di identificarla, perché il semplice respiro, al telefono, non è riconoscibile (appunto per questo risulta inquietante). Oltre non si andava; come oggi del resto. Le bastava che mi facessi sentire ogni tanto: non per tranquillizzarsi, perché non era preoccupata, ma per coronare la sua tranquillità con il mio affetto. Con l’affetto elementare, ma fondamentale, che anche una pura chiamata, un saluto, sprigiona.
Ma con il passare degli anni, ogni volta che programmavo un viaggio la sua sicurezza è diminuita, e viceversa è cresciuta in proporzione inversa la tabella con direttive e corollari e opzioni varie, che ora contempla, tanto per fare un esempio, l’assenza di una notte, massimo due, e per non più di due volte al mese, per gli spostamenti e impegni veloci o di scarso peso (una mostra, una presentazione, un convegno: meglio se con un telefono o un indirizzo di riferimento o addirittura una persona di fiducia in loco), e alto gradimento della presenza di uno o più accompagnatori per gli sporadici viaggi più lunghetti, ma che non devono mai superare i 3-4 pernottamenti tuttavia (il che ne ha limitato drasticamente il chilometraggio potenziale). Di più senza di me non riesce a stare. E’ bello essere indispensabili in quest’epoca di assoluta impermanenza.
Fino a pochi anni fa anche l’identità dell’accompagnatore era secondaria. Praticamente andava bene chiunque fosse in qualche modo autonomo e non analfabeta: quindi anche il mio più caro amico e compagno abituale, che pure qualche dubbio sull’autonomia lo autorizzava (parecchi, anzi); le bastava ritenere ancora perfettamente sano e autonomo me (salvo in caso di incidenti, fratture e impedimenti motori e di qualsiasi altra natura, persino legale, tipo custodia cautelare o sequestro ecc., che allora avrebbero richiesto una persona di sicuro affidamento, esattamente come oggi: ma chissà perché questi pericoli allora le sembravano meno incombenti; forse è colpa della televisione). Stavo per scrivere sano e lucido, invece di autonomo, ma sotto questo aspetto, cioè sulla mia affidabilità, presenza di spirito, precisione, concretezza, accuratezza ecc. (su tutto cioè, a parte la puntualità e la disponibilità, quest’ultima peraltro anche eccessiva…), dubbi non poteva non nutrirne, date le mie sbadataggini, dimenticanze, goffaggini e omissioni occasionali sì, ma non rarissime, che però potevano essere ovviate quasi sempre dalla sua presenza e capacità manageriale, che mi assicurava un veloce rimedio, sia pure con il bonus di un inevitabile predicozzo che, data l’educazione sorbita da religiosi di varia caratura e rigore, ero però allenato a sorbire e subito dimenticare (inconscio a parte). Con il tempo però l’identità e il conseguente gradiente di affidabilità sono diventati fattori decisivi per la serena accettazione persino di un viaggio un po’ fuori dai parametri e addirittura senza l’inderogabile preavviso di mesi o almeno settimane.
Ora la mia cara consorte esige che vada in giro con gente giovane; sono ammesse anche le femmine, ma solo per spostamenti giornalieri senza pernottamento, se di specchiata moralità o con fidanzato a carico; o anche con pernottamento, uno solo – massimo un paio, se sono in due, con gli impliciti assunti a) che io sono innocuo; b) che sono troppo giovani per me o scarsamente attraenti; c) che dormono nella stessa stanza loro due (analisi che non fa una piega, peraltro); ma ancora meglio se il compagno è giovane, cioè dai 30 ai 50, e maschio, con implicita assenza di sospetti: a) su mie eventuali tendenze o occasionali tentazioni gay; b) che in due potremmo fare bisboccia ancor più allegramente. Il massimo apprezzamento si riscontra quando mi aggrego a una coppia (eventuali birichinate a tre rientrano nell’impensabile puro: anche per me). A escludere i gruppi, invece, ci penso io: la mia tolleranza arriva a due, anche perché poi fanno comunella e io posso starmene per conto mio ogniqualvolta ne sento il bisogno (cioè spesso: con tutto che sono un compagnone…).
Ma mica sempre è facile trovare accompagnatori con questi requisiti. Anzi, mica sempre è facile trovarne, per gli spostamenti e i viaggi che intendo fare io, con uno straccio di requisito qualsiasi. Tanto che, a petto di queste asperità, talvolta, kafkianamente, rinuncio. Sempre che non sia indispensabile.
Fortuna che spesso a chiedermi di fare un viaggetto con loro sono proprio gli amici, e non viceversa! Nel qual caso, se ci sono ostacoli, non è difficile aggirarli con raffinate mediazioni e strategie che sarei sciocco a divulgare. Magari qualcuna a pagamento.
Ho di questi amici che gli piace andare a spasso con me. Che trovano stimolante la mia conversazione quasi quanto io trovo stimolante la loro (intellettualmente, sia chiaro), o perché li faccio ridere; quanto volontariamente non saprei… Che mi attribuiscono competenze che non mi sono mai sognato di vantare, né di avere se è per questo; mentre loro ne hanno eccome, spesso in campi diversi dal mio, ammesso che io ne abbia uno, nel qual caso gradirei esserne informato. Brava gente che, mentre io li vedo con occhio spietato (e proprio per questo li ammiro pure), un po’ mi idealizza, con molta generosità. Sfido io! Se no che amici sarebbero? Il guaio è che, coltivando interessi analoghi ai miei, che erano già obsoleti quando ho cominciato a coltivarli (e io pensavo il contrario!), hanno un’età molto vicina alla mia, e anzi, più spesso maggiore (quando hanno cominciato a coltivarli loro non erano ancora obsoleti infatti, e forse è per questa ragione che loro sono bravi e noti e professionali, mentre io, disilluso quando già ero contaminato a morte, no), e perciò spesso con le mie stesse propensioni alle dimenticanze e inadeguatezze ecc., ma, essendo loro professionisti, con un grado ancora maggiore di inaffidabilità rispetto del mio. Non so se mi spiego.

Ieri mi telefona uno di costoro. Uno che, agli occhi della mio collegio arbitrale domestico, staziona in permanenza sul podio della suddetta categoria, e che perdipiù, tra tutti i miei amici, è il meno rispondente al requisito dell’età. Bene, proprio costui, uno scultore, mi chiama per dirmi che il giorno dopo va a Roma per preparare una mostra, che ha un piccolo appartamento in centro a sua completa disposizione (leggi: niente spese d’albergo) e che poi va a vedere una grande mostra di Tiziano alle Scuderie del Quirinale. Ora, a me piace andare alle mostre da solo, ma se proprio ne devo vedere una in compagnia, questo amico staziona sul podio anche della mia, di classifica. (Magari il motivo lo spiego un’altra volta, perché qui la tiritera sta già diventando troppo lunga di suo: infatti sto scrivendo solo ora, dopo quasi 4 cartelle, quella che doveva essere la seconda, massimo terza frase di quello che doveva essere un semplice appunto: la telefonata dell’amico con l’invito a vedere la mostra di Tiziano, intendo.)

Ne parlo con la mia amata consorte, perché in questo periodo avevamo in programma alcune cosucce da sbrigare insieme, e stranamente lei non avanza nessuna obiezione. Ma proprio nessuna. Nemmeno un timido se, un ma, tanto per non perdere l’allenamento. Anche la più banale, come la mancanza assoluta di preavviso e del tempo necessario ad abituarsi all’idea del distacco. Vai pure, che è da un po’ che non fai un giro, mi dice senza notare il mio sguardo allibito. Segue qualche piccola raccomandazione, ma ridotta all’osso, il minimo per mantenere viva la fiammella dell’apprensione di chi ama (si dice così, vero? Sì, si dice così: perché è vero) e delle relative rassicurazioni. Allora comunico al mio amico che lo accompagno, e già che ci siamo ci accordiamo anche sugli orari del ritorno e sui biglietti del treno, che ci pensa sua moglie a prenotare dato che io sono fuori casa e non ho accesso al pc. Bene, sarà fatto.
Ritorno ai miei impegni. Appena ripresi mi accorgo che già da subito un dubbio aveva preso a gironzolarmi per la testa, a giri bassissimi; ma, essendo concentrato su altre importanti faccende (una partita a scopa d’assi), avevo trascurato di metterlo a fuoco. Prima ancora che riesca a farlo, il mio amico, incurante che mi sto giocando la reputazione con i miei sodali dell’osteria, mi comunica che è tutto a posto: treni prenotati, posti vicini, costo inferiore al previsto. Benissimo, ma lasciami finire la partita, cazzo!
E’ solo dopo questa terza telefonata che il dubbio si precisa: com’è che io non ho mai sentito parlare di una mostra di Tiziano così importante? Possibile che nessun giornale o notiziario o pagina web ne abbia ancora parlato? E intanto confondo un sei con un sette, e gioco la carta sbagliata. Appena tocca il piano del tavolo mi accorgo dell'errore e ho un lievissimo moto involontario di contrazione facciale. Il mio socio, che non perde una sfumatura e soffre semmai di iperintepretazione, mi guarda basito. Dentro di sé, si chiede senza dubbio se tener conto della giocata o piuttosto della velocissima contrazione che non gli è sfuggita. E poiché è uno serio, ma non minchione, gioca come se mi fossi sbagliato cercando di rimediare al mio probabile errore. Ma il danno è fatto. Dovrò scusarmi. E senza fare riferimenti ai suoi molteplici errori del passato immediato e lontano. Tanto sarebbe inutile: lui errori non ne fa. Non sono eventi che passano sotto silenzio quelli! (La mostra, e anche gli errori.) Ma non mi preoccupo troppo, perché in questo periodo sono ben altri gli argomenti di cui tutti parlano in ogni luogo e modo, ed è appunto per questo che io ho seguito la cronaca ancor meno del solito: quindi la mostra potrebbe benissimo essermi sfuggita (come la carta).  

Una volta tornato a casa però, una ricerchina la faccio, e il mio timore trova conferma: non c’è nessuna mostra di Tiziano. Non ancora perlomeno. Apre tra dieci giorni, infatti. E’ la seconda volta oggi, dopo la conferma dei miei timori pre-elettorali sui quali però mi rifiuto di dire una parola in più, che sarei molto più contento di avere torto! Vuol dire che vedrò qualcos’altro.
Comunque a mia moglie non glielo dico. Va bene darle ragione tra me e me (cioè qui: per dire…), ma non  apertamente, non al punto, cioè, da sputtanare i miei amici. E’ una reticenza che evita discussioni inutili, anche se innocue, e non offre argomenti a recriminazioni future, altrettanto inutili e innocue. La vita di coppia è fatta anche di queste misericordie. Anche lei omette. Per amore ovviamente. E l’amore, si sa, è ingiusto: lei, piuttosto che spiattellarmi in faccia la mia sostanziale inaffidabilità, rovescia sugli altri anche la quota di mia pertinenza (ne tiene qualche spicciolo di riserva anche lei però, per la legge del non si sa mai), sui miei amici soprattutto, i quali, se hanno una colpa, è proprio quella di considerarmi amico loro. Loro sanno che su di me non possono contare a occhi chiusi (diversamente da mia moglie che sa di poterlo fare sempre), che sono più le volte che mi tiro indietro di quelle che rispondo presente; eppure continuano a chiamarmi, a chiedermi se li accompagno, se ci vediamo, se mi va di fare questo per loro o assieme a loro, o addirittura se possono fare qualcosa per me: continuano a tenermi le porte aperte, o socchiuse, e io, appena vedo uno spiraglio, mi ci intrufolo e: eccomi qui!, dico. Proprio non ce la fate senza di me, eh? Sfruttatori!

didascalie

1 – Amici inaffidabili (Museo degli scrittori a Dublino)

2 – Federica e Michele alla biblioteca nazionale di Dublino

3 – Specimen di amico inaffidabile (Federico D.L.)

4 – Cosa mi aspettava a Roma (avevamo dimenticato che era il giorno dell’ultimo saluto del Papa)

5 – Antonio e ‘l Brüsa al bar

6 – Barocci, Visitazione – nella magnifica Chiesa Nuova

7 – Meravigliosa pancetta egizia (musei vaticani)

8 – Autoritratto con Busto di Olimpia Maidalchini Pamphilj, di Alessandro Algardi (devo la precisazione del mio momentaneo vuoto di memoria, che avrei colmato di persona a tempo debito, a Federico De Leonardis, scultore e architetto, che a quei tempi sarebbe stato infilzato o avvelenato ancora giovane. Oggi trova persino chi gli vuole bene: io per esempio. No comment please). Galleria Doria Pamphilj

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