Sembrava inchiodato contro il
cielo, con le sole ali che potevano ancora muoversi, dispiegate come la colomba
dello spirito santo in certe annunciazioni o pentecoste, ma uno spirito santo
crocifisso. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, se non per sbirciare
velocemente, con la coda dell’occhio, la pantomima delle due donne che ora si
fotografavano a vicenda disinteressandosi di ogni altra cosa, estasiate dalla
reciproca contemplazione.
Dopo non meno di una ventina di
secondi, un tempo che mi è parso interminabile, l’uccello ha smesso di librarsi
nell’aria e, piegando appena le ali, ha disegnato una piccola curva in discesa.
Forse il suo, di balletto, non aveva avuto esito; forse aveva sentito un
richiamo che a me era sfuggito; o forse era solo stremato. È sceso per cinque
metri e ho pensato che avesse trovato la corrente giusta e la stesse imboccando
per ripartire; invece, dopo aver percorso un breve tratto in orizzontale, ha
smesso del tutto di sbattere le ali e, senza nemmeno raccoglierle a sé, è
caduto a perpendicolo verso il prato. È ferito!, mi sono detto. Ora si
sfracella… Ma con mia grande sorpresa, e piccolo sollievo, appena urtato
violentemente il suolo erboso con un tonfo che ho avvertito chiaramente,
l’uccello, quasi di rimbalzo, come Caco al contatto con la terra madre, è
risorto ed è volato via, verso un filare di robinie sul margine di un fosso,
dove si è installato sul ramo più alto e sottile di una che sporgeva verso il
prato, fissando, di nuovo immobile, ma saldo ora, un punto lontano. Forse
niente, ma laggiù, verso l’orizzonte dietro le rare case. Un po’ d’ansia per la
sua sorte mi era rimasta, però; mitigata dalle evoluzioni delle danzatrici a
cui mi stavo avvicinando. Mentre mi incamminavo verso la macchina, mi sono
voltato a guardare, ma l’uccello era sparito. Volato via, passato su un altro
ramo, caduto di nuovo, non so. Quando sono arrivato nei pressi delle due donne,
hanno recuperato entrambe la postura eretta e si sono date un contegno. Il
corteggiamento, se tale era, poteva sopravvivere a una pausa. Ho chiesto se
anche loro avevano visto. Sì, ma solo quell’inconsueto dibattersi a mezz’aria.
Avete capito che uccello era?, ho chiesto. No, nonostante quel grosso obiettivo
non erano riuscite a riconoscerlo. Poi si sono distratte, cioè sono passate a
una diversa attenzione, e non hanno seguito più niente. Forse era una
ghiandaia, ho detto io vedendone una posarsi sul ciglio della strada a pochi
metri da noi. Forse, hanno detto loro. E ci siamo salutati .
No, non credo che fosse una
ghiandaia, ho poi commentato tra me e me. La coda non era così lunga. I colori
erano diversi. Non era neanche uno dei tanti corvi o colombi di questa zona…
Forse non era niente. Forse niente
è successo. E nemmeno quelle donne erano reali.
Forse non ho visto davvero ciò che
ho raccontato e me l’ha inscenato solo la mia angoscia, la deriva immaginaria
con cui quell’infame crede di rendere più accettabile la sua compagnia. Ma no!
Ho visto. Magari ho frainteso cosa avevo visto, ma di aver visto sono certo. Di
non avere sognato né inventato.
Lo so. Ma preferirei pensarlo se
anche così non fosse.
(Più ancora, però, preferirei il
corteggiamento. La danza.)
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