12/11/20

Grazioli di schiena (Ricordi di copertura 14)

 

Mi sono fatto fare una foto di schiena. Non mi piaccio neanche così. Sono ritratto in piedi sulla prua di un battello; l’angolo di ripresa è leggermente dal basso, ma nonostante questo, invece di slanciarmi, come certamente avrei gradito, l’imperizia del fotografo improvvisato mi fa apparire ingobbito; la giacca aperta che mi rende più robusto e tarchiato di quanto non sia (o di quanto non mi piaccia immaginarmi), le pieghe della sua stoffa molto gualcita e quelle dei pantaloni troppo lunghi che si afflosciano sulle scarpe, i capelli scomposti prima dal viaggio in pullman e ora dal vento: tutto mi dà un’aria sciatta che di solito non ho (o non credo di avere). Eppure a questo orangotango non riesco a voler male, né mi viene da sbeffeggiarlo. Mi sembra tranquillo. Le mani che non si vedono, a giudicare dall’angolo dei gomiti, potrebbero suggerire che si tiene alla sbarra che sbuca ai suoli lati o, peggio, che sta orinando nell’acqua, ma per come lo conosco, quantunque si lasci talvolta allettare dal disprezzo, non mi risulta che ne abbia mai assunto uno così sovrano. Direi piuttosto che ha le mani nelle tasche, che in quel paio di pantaloni sono di taglio orizzontale. Sulla barca un po’ in pendenza i suoi piedi sono abbastanza saldi e lui guarda verso la terraferma senza ansia, forse con curiosità ma non con bramosia: vede che c’è, ne prende atto, guarda com’è ma lascia che la barca lo porti altrove. Anche lui è quello che è, uno che sta in piedi sulla prua di un battello e guarda fuori. Su di lui non ho molto da dire, e questo è quanto di meglio di lui si possa dire. No, in fondo non mi dispiace. Non ha nemmeno le orecchie a sventola.

  

*Non trovo più la foto originale. Questa è delle stesso periodo (fine '90-inizio 2000), con la stessa giacca e lo stesso caso umano fotografato di schiena. Notare i capelli: tanti, tutti, scuri.

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