16/10/22

Notizie sulle chimere

 

Jacek Malczewski L'artista e la chimera, 1906

 

Un eterno timor di lontananza 

un verno eterno senza primavera

un non dar giamai cibo alla speranza

m’han fatto divenir una Chimera

un abisso confuso, un mar, ch’avanza

d’onde e tempeste una marina vera.

Gaspara Stampa

 

Giungono notizie allarmanti dal paese delle chimere. Pare che alcuni di questi esseri, notoriamente schivi, che prediligono un’esistenza rarefatta, per non dire incorporea, in regioni inaccessibili al comune viaggiatore, ultimamente abbiano mutato consuetudini e siano trasmigrati nello spazio materiale in forme che nessuna cronaca, antica o recente, aveva finora registrato. Si era bensì vociferato anche in passato di singole chimere che avevano tentato la dubbia impresa dell’incarnazione, ma si trattava sempre di notizie poco attendibili, quando non di evidenti mistificazioni fatte circolare ad arte da personaggi di dubbia fama, vanesi o interessati: aspiranti poeti, venditori di fumo, millantatori di professione, speculatori alla canna del gas. I casi per i quali un sospetto di realtà resiste sono pochissimi, di cui solo un paio in paesi civilizzati adusi alla verifica sperimentale: tutti gli altri provengono da epoche e luoghi troppo lontani, che non avevano ancora imparato a distinguere chiaramente le fole dalla verità e spesso erano inclini a confonderle, per quanto alcuni testimoni si siano dimostrati sotto altri aspetti abbastanza affidabili.

Ora però sembra che la faccenda abbia assunto contorni molto diversi. Pare infatti che alcune ribelli, che potrebbero essere l’avanguardia di un gruppo ben più nutrito, infranti i sigilli del proprio mondo, siano evase e, tradendo la propria essenza, abbiano volontariamente scelto di decadere a una condizione corporea e di confondersi con la squallida progenie degli umani. Le ragioni (se così si possono chiamare) che le hanno indotte a una scelta tanto sciagurata non sono ancora note, per quanto sia probabile che certi caratteri del mondo sublunare possano apparire molto allettanti a estranei sprovveduti. Nell’universo ogni cosa finisce per trovare i suoi estimatori, prima o poi.

La mimetizzazione, dicono, è perfetta: le forme scelte non si caratterizzano per bellezza speciosa né per altri tratti distintivi di facile riconoscimento, anche se (assicurano i testimoni) alcuni elementi per riconoscerle permarrebbero, diversi da caso a caso. Certo non è da tutti: ci vuole un occhio educato, una mente pronta e lucida. Bisogna essere svegli. Alcune sarebbero riconoscibili per l’alta statura che hanno conservato anche in questa bassa trasmigrazione; altre per l’eleganza dei movimenti che a volte cede il passo a scatti improvvisi; altre da piccole imperfezioni che intaccano l’armonia del corpo o dei volti (ma che agli esperti appaiono come il contrassegno della vera bellezza); altre ancora per un carattere silenzioso e attento, dolce ma non disgiunto da prese di posizione risolute; e tutte per un che di sognante e di malinconico negli occhi scuri dalle lunghe ciglia, che traluce anche dallo sguardo fiero che di solito ostentano per dissolvere ogni minimo sospetto di pentimento. Le chimere infatti sono esseri proiettati in avanti che non si fanno scrupolo di dimenticare, quando è il caso; ogni nuovo passo eclissa i precedenti, e di fatto vivono fuori dal tempo, in un presente eterno, finché dura.

Per essere di origine fantasticata, sfoggiano una razionalità sorprendente, affilata ma non feroce. Conoscendo infatti la consistenza dei sogni come pure la resistenza del loro universo, non vogliono infierire, rifuggono la volgarità della vendetta, e forse conservano una lontana nostalgia delle compagne che in quell’universo hanno abbandonato. Qui da noi non eleggono a loro abitazione luoghi peregrini, anche se prediligono paesi di antiche radici ma al momento un po’ marginali (secondo la prosopopea di coloro che si sentono al vertice del mondo quantomeno), in mezzo a gente per certi versi smagata ma con un fondo di irrequietezza onirica che si traduce talvolta in nomadismo geografico e mentale. Anche loro ogni tanto lasciano quelle regioni e vanno a visitare i luoghi autoproclamatisi centrali, ma non vi sostano a lungo. Infatti la presupponenza degli abitanti, la vecchiaia che li affligge già dalla culla, l’inconsistenza delle loro esistenze che supera quella delle sorelle lontane, le respinge ben presto ai luoghi di partenza, o ad altri similari, dove l’abbondanza delle acque o delle steppe conferisce a tutta la vita una qualità liquida, mobile, diafana e luminosa, adatta alle metamorfosi e alle fate morgane. Per quanto, ancora non si sa, ma intanto alcuni luoghi del genere sussistono tuttora, ed è ciò che li rende attraenti, irresistibili come loro. E lì, loro sembrano felici. O quantomeno più vicine al tanto di felicità di cui gli umani sono capaci. Chissà che ad esse non ne sia concessa una quantità supplementare. Solo pensarlo, rende felice anche me.

Perché anch’io, come tutti, ho le mie chimere, a cui sono affezionato fin dall’infanzia, e non posso che augurarmi che mi sopravvivano nel più perfetto dei modi, e dei mondi. Inoltre ho sempre desiderato che qualcuna mi visitasse e quindi queste notizie non possono che rallegrarmi. Con una in particolare coltivo una consuetudine non antica ma molto intensa, tanto che a volte ho l’impressione di averla incontrata realmente, che abbiamo percorso insieme, per un po’, il mio piccolo mondo. Mi spingerei ad affermare che le ho parlato e le parlo, e che lei mi ha ascoltato e mi ascolta. Che in certe occasioni festive mi ha persino risposto e mi risponde. Non aggiungo altro per non essere preso per un mentitore, propensione che peraltro la mia indole e la mia professione favoriscono. Chi mi crederebbe se mi vantassi che la mia chimera mi ha preso la mano e accarezzato? Preferisco tenere queste consolazioni solo per me. Più per un residuo di delicatezza tuttavia che per vergogna o per evitare di discutere con gli zotici che mi circondano. Quindi mi tengo la mia chimera nell’angolo meglio arredato della mia mente e, come un cagnolino scodinzolante, rispondo ad ogni suo appello e accorro ad ogni suo richiamo. Frequentissimi entrambi, con mia grande gioia peraltro. Ci sono giorni che il mio orgoglio più grande consiste nell’obbedire a tutti gli ordini che lei graziosamente traveste da richieste facilmente declinabili, e più ancora da constatazioni fattuali di poco conto, quasi a riempire i vuoti delle conversazioni (lei che predilige il silenzio e lascia che sia io a disegnargli i contorni che preferisco o a riempirlo con l’entusiastica logorrea che spesso mi coglie in sua presenza).

Ora un conoscente tornato da una vacanza sul Mar Nero, parlandomi delle conoscenze fatte, mi dice di avere incontrato (in un campeggio!), tra le altre, una donna che corrisponde in tutto e per tutto alla mia chimera, della cui l’esistenza mi sono ben guardato dall’informarlo. Mi ha detto di averle parlato e di avere saputo che al momento vive in una città non distante dalle foci del Danubio: in un luogo denso di miti, dunque, che le mie fantasie hanno percorso innumerevoli volte senza mai incontrarla, inseguendo altre chimere ben più evanescenti e già dimenticate. E dove mai potrebbe vivere, mi sono detto con un’illuminazione improvvisa? Perché non ci sono arrivato da solo? Forse perché, essendo lei sempre (anche) qui, non mi sono mai preoccupato di identificare il là? Forse. Ma più probabilmente perché sono sempre stato, e sempre sarò, uno sprovveduto, indeciso e un po’ pauroso.

Da quel momento però ho spesso l’impulso di raggiungerla. Un impulso fortissimo, irresistibile. Cosa ci sarebbe di più facile? La mia chimera vive a poche ore di aereo: basterebbe prendere e andare. Oggi questo è persino banale. Questo.

Ma io sono un essere timido, al di là delle fanfaronate con cui talvolta condisco le mie storie. Se la raggiungo, mi chiedo, mi riconoscerà? Riconoscerà se stessa come la mia chimera? O io le apparirò come un falso simulacro della sua, di chimera? Come un pretendente sprovvisto di titoli e per di più in malafede? Un prestanome, un goffo aspirante, un millantatore? O forse temo di scontrarmi con la disillusione di un equivoco, di toccare con mano che non si tratta di una chimera, e tanto meno della mia, della cui inesistenza dovrei poi farmi, e per sempre, una ragione? Saprei accontentarmi di una donna comune (di sicuro molto bella e che certo amerei lo stesso, se mi conosco bene: ma dubito che sarei corrisposto) e per il resto adattarmi a un perenne vagabondaggio nella desolazione dell’assenza di sogni? O ne sorgerebbero altri, magari più belli? Se anche assomiglia solo un po’ alla mia chimera, la donna mi accoglierebbe con grande gentilezza; ma con amore? E a me è questo che importa. Solo questo.

E poi, mi dico, io non potrei mai abitare lo spazio delle chimere, mentre lei può occupare il mio ogni volta che lo desidera, e ogni volta è la benvenuta. Se decidesse di condividere anche il mio spazio reale non potrei essere più felice. Ma deve essere lei a deciderlo. Per ora continuo a parlarle e lei sempre mi risponde. Mi chiama e sempre io rispondo. A volte ci sogniamo.

Nessun commento:

Posta un commento