24/10/22

Rubens, Santa Maria Maddalena in estasi

C’era questa "Santa Maria Maddalena in estasi" di Rubens, del 1625-27, dal Museo di Lilla, sorretta da due angeli: uno, indubbiamente maschio, che con la mano destra sostiene Maddalena per l’ascella senza toccare direttamente la sua pelle da cui si protegge con un lembo della veste della santa, mentre la sinistra è invisibile dietro la schiena o sotto la testa; il secondo, o piuttosto la seconda, perché sembra avere lineamenti femminili (col che la questione del sesso degli angeli è risolta), che le sostiene delicatamente con la sinistra l’avambraccio, mentre il suo braccio destro asseconda con un gesto ostensivo lo sguardo che dirige verso l’alto a segnalare l’evento, o a chiedere aiuto conforto o benedizione, a qualche residente delle parti supreme dell’atmosfera, se non oltre, da dove piovono in risposta, in alto a destra, dei raggi di luce dorata. Alle sue spalle, da una delle quali pende un vezzosissimo velo quasi impalpabile che da una parte continua fino all’attaccatura dell’ala e dall’altra risale poi verso il braccio destro con una funzione che non mi saprei spiegare se non per una volontà di equilibrio pittorico con il colore della veste di Maddalena, c’è quella che sembra una capanna dal tetto di paglia, o una tettoia appoggiata a una parete rocciosa in cui si apre una porta buia, che potrebbe benissimo essere quella di un sepolcro, o alludervi. Ai piedi della santa i tradizionali attributi, il vaso dell’unguento, qui rovesciato e vuoto, e il teschio che la prospettiva deforma in modo inquietante, per non dire mostruoso. C’è anche, accanto al teschio, un sasso, comodo strumento di penitenza che però mi fa rabbrividire solo a immaginarlo pestato dalla giovane donna contro le proprie carni, che però non mostrano nessun segno di violenza. Meno male. Senza il soccorso dell’angelo maschio Maddalena sarebbe caduta a terra. E’ in estasi, dice il titolo del quadro, ma un’estasi talmente intensa da sconfinare nella morte, richiamata esplicitamente dalla testa rovesciata all’indietro e soprattutto dal braccio destro inerte, come nelle deposizioni, e dalla mano rovesciata all’indietro contro il suolo come nella Pietà del Prado di Antonello da Messina. 

 L’avambraccio, da livido, scendendo verso il polso che sembra spezzato diventa quasi nero, come i lembi più prossimi dell’abito. E’ un dettaglio atroce, dal quale distolgo presto lo sguardo per risalire verso la spalla dove la carne si fa più chiara, anche in virtù della luce che giunge dall’alto, ma conservando un tono di fondo cinereo, come quello di qualcuno spirato da tempo. La testa abbandonata all’indietro, la bocca socchiusa e gli occhi rovesciati di cui si intravede solo la sclera richiamano immagini di estasi molto più mondane, quelle della piccola morte, come dicono i francesi che di queste cose sono espertissimi, che fa seguito all’unione sessuale (quando le cose funzionano), alla quale altre persone che hanno saputo penetrare l’intimità delle cose e della vita non si fanno scrupolo di identificarla, ma come una sottospecie. Se ci fosse qualche parentela, però, sarebbe piuttosto viceversa a parere del sottoscritto. In ogni caso io mi rifiuto di svilire l’estasi mistica assimilandola alla democratica banalità dell’orgasmo, per quanto i sintomi possano apparire simili, così come alcuni dati somatici e espressivi, perché le analogie finiscono lì. L’orgasmo è una morte piccola, e va bene, intensa e breve, che sembra bastare a se stessa eppure rientra subito nel tempo e chiede presto di essere rinnovata, manifestandosi in tal modo come quella medesima mancanza, quel medesimo vuoto, che era stata chiamata a colmare; l’estasi invece esce dal tempo e non vi rientra, come la morte, appunto: ciò che rientra è qualcos’altro, mi pare, un corpo che era stato trasfigurato, cancellato nel momento e per tutta la durata senza tempo del compimento, come senza tempo è la morte, quella vera, a cui non a caso alcuni grandi pittori, che non si sono accontentati della mimica del viso e talvolta anche della postura scomposta del corpo l’hanno identificata, anche se a volte non si negano qualche allusione nell’altro senso, per mostrare che sono uomini di mondo anche loro, come Rubens con il dettaglio del seno nudo, sia pure seminascosto, che a me sembra un punto debole del quadro, e la veste discinta, sensuale e bellissima, che potrebbe benissimo alludere tanto a un agone sensuale quanto essere l’effetto di una travagliata agonia. Non a caso arrivano due angeli a sorreggere la santa e una luce calda scende su di essa e indica la direzione verso cui trasportarla. Ma lei quella direzione la conosce già, l’ha percorsa e ha già goduto della promessa che annuncia, in una fusione che l’ha folgorata, sfiancando il corpo, svuotandolo e lasciandolo esausto, come un cencio, come un guscio vuoto da abbandonare e insieme colmo di una pienezza compiuta, assoluta. Morto e vivo: così come lo dipinge Rubens, non a caso nella stessa postura di un Cristo deposto, in particolare quello del Getty Museum: morto, ma che risorgerà; interamente uomo nella sua mortalità e nella sua morte, e insieme Dio. E così Maddalena, sua sposa.

 


 

 

 

 

 


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